Zitto tu, brutto monoglotta!

Il multilinguismo è una delle nuove panacee: può aiutare ad entrare nel mondo del lavoro, ampliare gli “orizzonti culturali” e addirittura, rendere più intelligenti. Ma sarà vero?

Mensa Italia
4 min readFeb 7, 2020

Senza molto clamore o successo, l’Unione Europea promuove alacremente il multilinguismo. In Europa ci sono 13 nazioni bi/multilingue e “uno degli obiettivi della politica linguistica dell’UE è che ogni cittadino abbia la padronanza di altre due lingue, oltre alla propria lingua madre”.

A livello istituzionale si presta il massimo rispetto per le 24 lingue ufficiali. Tuttavia, è più probabile che avendo a che fare con le istituzioni europee non si rimanga colpiti da una organizzazione moderna e democratica, ma da una torre di Babele moltiplicata alla massima potenza, dove gli svantaggi e i costi astronomici, senza parlare dei fraintendimenti macroscopici insiti nell’uso obbligatorio di 24 lingue, vengono sistematicamente ignorati.

Ma l’entusiasmo legato al plurilinguismo è condiviso anche dall’altra parte dell’oceano e non solo per motivi politici. Le ricerche più recenti nel settore riportano sempre liste piuttosto lunghe di benefici — almeno a livello personale — anche per chi parla “solo” due lingue:

• abilità a gestire più attività contemporaneamente (il subdolo “multitasking”)

• maggiore abilità di orientamento e di controllo sull’ambiente circostante

• migliori risultati accademici

• migliore memoria

• maggiore empatia

• maggiore resistenza all’Alzheimer, e perfino

• maggiore intelligenza

L’unico caveat è che se non si alterna frequentemente l’uso delle lingue, i benefici sarebbero inferiori. Ma come si misurano questi benefici assai vaghi nella loro formulazione?

Può darsi che il bilinguismo aiuti ad avere più empatia e “apertura mentale”, ma qual è l’unità di misura di un’apertura mentale? Sarà vero che i monoglotti siano maggiormente smemorati e disorientati? Basta conoscere un dialetto oltre all’italiano per essere salvi dall’Alzheimer?

Quando poi si tratta di attribuire un’intelligenza “superiore” a chi è almeno bilingue, sorgono almeno due domande:

1. Visto che i dialetti locali sono ritenuti una seconda lingua, circa la metà della popolazione mondiale è almeno bilingue. Come mai si nota poco tutta questa intelligenza così largamente diffusa?

2. Ma soprattutto, chi è che finanzia queste ricerche?

Sicuramente la moltitudine di scuole che proliferano in rete e nel “mondo reale” ha interesse a promuovere l’idea che studiare le lingue faccia bene a tutto. Hanno interesse anche gli istituti universitari, soprattutto quelli più attivi nel settore linguistico e quindi più direttamente coinvolti nelle ricerche.

Oppure, come potrebbe suggerire un cinico, le motivazioni che spingono a cantare salmi di gloria per il multilinguismo potrebbero essere principalmente economiche.

Negli Stati Uniti, la richiesta di lavoratori bilingui/plurilingui è più che raddoppiata dal 2010 al 2015. Le offerte di lavoro che richiedono spagnolo e arabo come seconda lingua sono cresciute del 150%. Lo spagnolo è la seconda lingua più parlata negli USA, seguita dal cinese e dal francese, ma anche la conoscenza dell’arabo è fortemente richiesta.

La scarsa conoscenza delle lingue ha conseguenze negative sull’economia, quantificate in 2 miliardi l’anno, anche se valutazioni del genere sono difficili.

Gli anglofoni (come i francofoni) sono notoriamente restii ad apprendere le lingue. Quindi, non ci resta che sperare nell’abilità degli immigranti ad imparare alla svelta l’inglese — o qualunque altra lingua necessaria allo sviluppo economico.

Infine, non si può evitare di menzionare il lavoro che viene normalmente collegato alla conoscenza di una o più lingue straniere. Paradossalmente, per i traduttori professionisti, il proliferare della richiesta e di piattaforme online ha peggiorato la situazione di un mercato da sempre difficile.

Agenzie a basso costo promettono lavori accurati in tempi ridottissimi e non hanno che l’imbarazzo della scelta per trovare qualcuno disposto a consegnare velocemente lavori di scarsa qualità.

Nel calderone dei traduttori improvvisati, spiccano i giovanissimi cresciuti in famiglie bilingue. Immaginando di poter sfruttare il loro vantaggio ereditario, si lanciano nel mercato senza nessuna preparazione e soprattutto senza rendersi conto che conoscere due lingue non fa di loro dei traduttori, come avere dieci dita non fa di loro dei pianisti.

Gli errori di traduzione sono diventati una fonte inesauribile di divertimento sul web. Una semplice ricerca su Google propone 81.000.000 di risultati per “traduzioni errate”. Per ironia della sorte, quando si parla di cattive traduzioni, Google Translator è uno dei bersagli preferiti.

Nonostante i progressi della tecnologia, la traduzione automatica perfetta deve ancora arrivare.

Nel frattempo, dovremo continuare ad utilizzare la varietà di risultati divertenti, professionali o imbarazzanti che l’intelligenza umana, più o meno superiore, riesce a produrre.

Di Daniela Rossella

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