Verso il 98° percentile (e oltre)

Aumentare la propria intelligenza è possibile,
ma siamo sicuri di voler scoprire come?

Mensa Italia
3 min readFeb 4, 2020

Che sia emotiva, logica, fisica, sociale, spaziale, linguistica, corporea, musicale, naturalistica o esistenziale, qualunque tipo di intelligenza sembra sempre presentarsi come una dote individuale, un regalo del destino, o dei geni, con cui si nasce oppure no, e that’s it.
O, almeno, così siamo soliti pensare.

Il termine “intelligenza” di per sé sta a indicare la capacità di inter-legere, ossia di leggere tra le righe della realtà, o di intus-legere, a seconda delle etimologie, ossia di leggere in profondità le dinamiche e le ragioni del mondo; facoltà che non necessariamente debbono essere ascritte al singolo, in quanto il soggetto che opera una lettura tra- o dentro- qualcosa può essere tanto una persona sola quanto un gruppo, o una collettività. Tuttavia, quando ci si iniziò a interrogare sulla possibilità di misurarla tramite un indice ad hoc, si dimenticò la possibilità che l’intelligenza fosse espressione di una comunità umana, mentre si preferì dare rilievo a una sua definizione in termini puramente individuali.

Non bisogna, infatti, trascurare il fatto che, a partire dalla Rivoluzione Francese in poi, si fissò nell’immaginario l’associazione tra folle e follìe, tra moltitudini e violenza, distruzione, sconsideratezza, come ci racconta Alessandro Manzoni quando descrive la mutazione caratteriale cui va incontro Renzo nel trovarsi nel bel mezzo dei moti del pane. Le folle, secondo questa rappresentazione, riducono le nostre capacità intellettive, lasciando emergere e prevalere la nostra componente animale, violenta, vendicativa, irrazionale; spingono gli individui, anche i più acculturati o intelligenti, a ubbidire all’autorità, in modo acritico e sciocco, e a macchiarsi di delitti senza consapevolezza.

Ad ogni modo, prima che potesse essere del tutto soppiantata dalla visione individualistica, coesisteva con l’immaginario di ghigliottine e colonne infami anche la consapevolezza che la modernità industriale si sorreggeva non sui singoli, ma sulle collettività: è il caso di una delle tecnologie sociali che più ha consentito lo svilupparsi dell’industria, la catena di montaggio.

Come indicò Adam Smith, il padre fondatore dell’economia neoclassica, se un processo produttivo viene scomposto in singole parti e ognuno ne svolge una sola, la produzione nel suo complesso aumenta e si fa più rapida. Non ci volle molto perché Karl Marx, che di operai e fabbriche si occupò molto, almeno in termini di studio, arrivasse a formulare l’idea che le masse fossero più intelligenti dei singoli individui, quantomeno perché erano in grado di accumulare una maggiore conoscenza.

Oggi sembra non restare molto di questo modo di intendere le cose; come se fosse un ramo tagliato e mai più ricresciuto. Rimangono però evidenze circa il miglioramento cui la nostra intelligenza va incontro quando ci si trova in più persone e non da soli. Si pensi, ad esempio, al concetto di Zona di Sviluppo Prossimale: è l’area di miglioramento che l’intelligenza dei bambini può guadagnare quando sono in presenza di adulti. In pratica: insieme è meglio, perché ci si stimola a fare un salto di qualità.

E chissà che questo non possa essere uno spunto per elaborare una risposta alla fatidica domanda: “Ma perché stai nel Mensa?”. La risposta potrebbe diventare: “Semplice, per essere più intelligente di come sarei da solo”.

di Armando Toscano
Foto: Capacitor: Synaptic Motion (Yerba Buena Center for the Arts)

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