Una buona memoria per una buona difesa
L’essenziale database della memoria immunologica.
La memoria immunologica è una particolarità interessante del funzionamento del nostro sistema immunitario, dal momento che è in grado di riconoscere infezioni e malattie già contratte precedentemente, permettendoci una reazione più efficace e rapida per debellare l’intruso che ha attaccato il nostro corpo.
Il sistema immunitario agisce contro organismi come virus, batteri, parassiti pluricellulari, funghi e protisti (organismi unicellulari o pluricellulari senza tessuti altamente specializzati), o sostanze non organiche che portano con sé un antigene, vale a dire una proteina in grado di far scattare una reazione di difesa nel nostro corpo.
Fin dalla nascita presentiamo una “prima linea di difesa”, composta da elementi come la cute, le mucose, il muco, l’acidità dello stomaco, i microrganismi della flora batterica residente e altri elementi che insieme prendono il nome di difese aspecifiche, in grado di riconoscere un limitato numero di antigeni. A queste si aggiungono altri fattori che acquisiamo crescendo ed entrando in contatto con diversi tipi di antigeni, e che corrispondono alle nostre difese specifiche, composte principalmente da linfociti B e T.
Questi ultimi sono cellule del sangue appartenenti ai globuli bianchi e si distinguono in linfociti B, linfociti T helper e linfociti T citotossici. I linfociti B sono i responsabili della produzione di anticorpi, vengono stimolati e organizzati dai linfociti T helper, mentre gli ultimi, i linfociti T citotossici, sono in grado di distruggere intere cellule infettate o degenerate in cellule tumorali.
Il nostro sistema immunitario ha un ruolo facile da riassumere ma molto complesso da giocare:
deve innanzitutto riuscire a riconoscere l’elemento estraneo, organizzare una risposta immunitaria in grado di neutralizzarlo e infine archiviare la strategia applicata nel caso in cui un nuovo intruso della stessa specie riesca a fare il suo ingresso nel nostro organismo.
Il riconoscimento dell’antigene avviene tramite molecole chiamate “recettori antigenici”, collocati sulle membrane dei linfociti B e T; ogni linfocita ha un’unica tipologia di recettore antigenico, ma in numero molto elevato. Dal momento che nel nostro corpo sono presenti milioni di linfociti diversi, si stima che il corpo umano sia in grado di rispondere a una quantità di circa 10 milioni di antigeni differenti.
Nel momento in cui l’antigene si lega con uno dei recettori, il linfocita si attiva e inizia a dividersi per mitosi (un processo di riproduzione asessuata che genera due cellule figlie identiche alla cellula madre), ottenendo tante cellule identiche al linfocita di partenza che viene quindi selezionato per la risposta immunitaria. Queste nuove cellule maturano in plasmacellule e cellule della memoria. Le prime sono le fautrici degli anticorpi, che attaccano direttamente gli antigeni, mentre le seconde non reagiscono immediatamente. Se però queste ultime entrano in contatto con un antigene dello stesso tipo di quello che ha innescato il loro processo di generazione, iniziano immediatamente a dividersi sia in plasmacellule che in nuove cellule della memoria. In questo modo viene garantita una risposta più immediata ed efficiente nel caso in cui lo stesso intruso riesca a penetrare nuovamente nel nostro organismo. Le plasmacellule prendono quindi il nome di “risposta immunitaria primaria”, mentre le cellule della memoria “di risposta immunitaria secondaria”.
Dato che la risposta immunitaria secondaria è più efficace della primaria, il nostro corpo sarebbe in grado di reagire meglio ai possibili attacchi esterni se presentasse già le cellule della memoria corrispondenti. Questo può essere reso possibile facendo entrare in contatto i recettori dei linfociti con l’antigene in grado di generare la risposta immunitaria desiderata, che però non deve per forza essere attivo, ma può essere attenuato, disattivato o, ancora, ucciso. Questa pratica prende il nome di vaccino (o immunizzazione attiva) ed è in grado di dare un vantaggio al nostro organismo permettendoci di organizzare una strategia immunitaria prima ancora di entrare in contatto con l’agente dannoso, generando quindi plasmacellule e cellule della memoria, senza contrarre la malattia in sé. Per diminuire il rischio di complicanze, nel vaccino vengono inseriti vari coadiuvanti per aumentare le difese immunitarie del nostro organismo e difenderci dal possibile attacco di un altro antigene mentre il nostro corpo è occupato a combattere quello iniettato.
Poiché i vaccini devono scatenare una reazione immunitaria, tanto tempo viene impiegato per sottoporli a una grande quantità di test prima che possano essere approvati. Ovviamente questo risulta essere un problema quando si ha a che fare con malattie fatali in grado di mietere vittime ogni minuto che passa, ma resta necessario dal momento che ci garantisce di non causare problemi peggiori su larga scala.
Grazie ai vaccini, oggi, siamo riusciti a debellare malattie fatali come il vaiolo e a ridurre esponenzialmente la presenza di altre malattie, come la meningite e la poliomielite. Per questo è importante vaccinarsi: secondo l’OMS, grazie all’utilizzo di vaccini, saremo in grado, entro il 2020, di salvare un numero di persone pari a 25 milioni. I vaccini sono al momento la nostra più grande arma contro le epidemie.
Di Cristina Truant
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