Un giorno con la Susi

L’unica vera gabbia è il personaggio che ci creiamo.

Mensa Italia
9 min readAug 2, 2020

Erano appena scoccate le sette e trenta del mattino, in città, quando un timido sole iniziò a far capolino tra i palazzoni umidi e grigi della periferia.

Dentro a spesse nuvole di smog, gli uccellini planavano bassi, cinguettando rochi e disegnando nell’aria inusuali traiettorie di volo. Per strada, le auto se ne stavano immobili, bloccate in lunghe code davanti ai semafori, e gli autobus sfiatavano come balene, partecipando attivamente ai complessi meccanismi del surriscaldamento globale.

In tutto questo, Susi se ne stava rannicchiata nel suo lettone a una piazza e mezza, coperta da un piumone bicolore decorato con dei quadrettoni a schema libero e delle cornici concentriche, in preda agli incubi. Sognava di trovarsi in Egitto, intrappolata nella piramide dei terribili faraoni Steph e Aleph Bahr Thezzagh, discendenti diretti di Piehr Bahr Thezzagh, dio della semiotica e delle situazioni irrisolte, e di essere vittima della loro nefasta maledizione: nessuno che fosse entrato in quelle stanze sarebbe mai riuscito a uscirne vivo, a meno di non risolvere tutte le zeppe, le sciarade, gli incastri, gli anagrammi e i rebus scolpiti sulle pareti delle camere mortuarie e sui basamenti di pietra dei sarcofaghi. Susi era disperata: l’enigmistica, ormai, la perseguitava anche in sogno.

Fu lo squillo del suo telefono a riportarla, di colpo, alla realtà, lontana dalla maledizione dei due faraoni.

Susi sbadigliò, si fece forza, tese un braccio e, dopo aver sollevato la cornetta, a mezza voce, disse:

- «Pronto?»

- «Buongiorno, cercavo la Susi!», rispose una voce all’altro capo del telefono.

- «Sono io. Chi è che mi chiama a quest’ora?!», chiese lei.

- «Io sono uno dei tuoi tre vicini di casa, ma non ho i capelli biondi e non vesto mai con abiti casual. Gino vive con un cane e Mario, che è calvo, è sposato con una donna che ha cinque anni più di lui. Susanna ha 48 anni e quello di noi che di mestiere fa il macellaio cerca sempre di rifilare qualche etto di carne in più ai suoi clienti. Sapendo che la carne di pollo costa meno di quella di vitello e che la somma delle età di Roberta e Piera è uguale alla somma delle età dei loro mariti, perché non provi a scoprirlo da sola chi sono? Eh, Susi? E, se te ne avanzano un po’, potresti prestarmi dei biscotti per fare colazione?»

Susi riagganciò e lanciò il telefono contro una parete della stanza da letto, con violenza, borbottando maledizioni della peggior specie.

Era iniziata un’altra giornata.

Che cosa aveva fatto di male per meritarsi una vita così? Perché nessuno le parlava con semplicità, per il puro gusto di fare un po’ di conversazione? Perché tutti non facevano altro che rifilarle degli indovinelli assurdi aspettandosi una soluzione? A queste domande non era mai riuscita a trovare una risposta. Si sentiva afflitta, delusa e depressa: non era questa la vita che aveva sognato per sé, non era così che aveva immaginato la sua esistenza.

Susi si alzò, fece una doccia, indossò i suoi vestiti anatomici (fatti apposta per sostenere le curve) e uscì di casa, in direzione di un piccolo bar in cui era solita fare colazione.

Appena fuori dal portone, un corvaccio, appollaiato sui cavi del telefono, iniziò a gracchiare contro di lei, emettendo suoni sconnessi: «ANTASPEC ATOLECHI IALUFFA! MIACINQU EHOLASCI AVIDELLA NONSODOV».

Susi afferrò un mazzo di chiavi che casualmente si trovava a terra, accanto ai suoi piedi, e lo lanciò con forza, centrando il pennuto dritto in mezzo agli occhi, facendolo stramazzare al suolo.

Fiera della sua mira, la ragazza si rimise in marcia e, una volta raggiunto il bar in fondo alla strada, ordinò un cappuccino e un cornetto, appoggiandosi pazientemente al bancone, in attesa di essere servita.

Allungò più volte lo sguardo alla ricerca di un po’ di zucchero, ma non riuscendo a trovarlo, si rivolse al barista in cerca di indicazioni. Il volto dell’uomo s’illuminò. Guardando Susi con occhi sottili come fessure e con un ghigno sardonico sulle labbra, disse: «Vede quel tavolo? Quello dove ci sono sedute quelle due persone? Ecco! Come vede, ognuno di loro ha un contenitore proprio davanti a sé, ma in uno c’è dello zucchero, mentre nell’altro c’è del sale. Per capire qual è il contenitore giusto, può rivolgere ai due signori una sola domanda, ma si ricordi: uno dice sempre la verità e l’altro dice sempre e solo bugie!»

- «Senta, facciamo che il cappuccino lo bevo amaro», rispose Susi.

Si prospettava una giornata lunghissima.

Finita colazione, Susi si allontanò dal bar e si mise in marcia verso l’ufficio postale più vicino. Aveva con sé una raccomandata contenente svariate barzellette inedite da spedire a un famoso settimanale di enigmistica (uno che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione), in cambio di qualche spicciolo che le permettesse di vivere una vita dignitosa. Era questo il lavoro di Susi: scrivere barzellette, e bisognava scriverne un bel mucchio per guadagnare decentemente. Era un lavoro spossante. Perché non aveva dato retta ai suoi genitori? Perché non aveva completato i suoi studi in giurisprudenza? (Forse non tutti sanno che Susi ha frequentato un corso di laurea per corrispondenza, studiando su testi basilari in ambito giuridico, come I casi dell’ispettore Volpe, Aguzzate la vista e Soluzione a pag. 46).

Erano necessari circa venti minuti di cammino per raggiungere l’ufficio postale, ma a Susi piaceva passeggiare. Aveva visitato, a piedi, tutte le più belle piazze d’Italia, restando particolarmente affascinata da quelle del 16 orizzontale e del 22 verticale. Diceva che un giorno vi sarebbe tornata, se ne avesse avuto modo.

Durante il tragitto, le si avvicinò un vigile urbano che si rivolse a lei con un forte accento del sud Italia.

- «Signorina, posso disturbarvi?», chiese il vigile.

- «Certo, mi dica pure», rispose Susi.

- «Guardate questa foto».

- «Ebbene?»

- «Guardate anche queste altre cinque. Siamo sicuri che ritraggono lo stesso delinquente camuffato e sembra ci sia un particolare tramite il quale lo si può riconoscere. Ce lo potreste indicare?»

Susi, spazientita, iniziò a cerchiare a caso nasi, orecchie, occhiali e cicatrici sulle foto che il vigile le aveva mostrato. Quando ebbe terminato, prima di restituirle, chiese: «Senta, ma ora che l’ho aiutata, potrebbe fare niente per quella multa che ho preso l’altro giorno?» Il vigile strappò via le foto dalle mani di Susi e si allontanò di corsa, borbottando: “No, no, non si può fare niente, che diamine! Che fareste se voi foste il giudice?»

Susi restò di sasso. Classico caso di scacco matto in due mosse.

Ancora più triste e abbattuta, raggiunse l’ufficio postale e si mise in coda, attendendo pazientemente il suo turno. Davanti a lei soltanto due anziane signore, una delle quali attaccò bottone non appena la vide.

- «Ma che bei capelli che ha, signorina!»

- «La ringrazio».

- «Sa, nel 1943, Mary O’Connor, nella sua tenuta nel Kentucky, aveva inventato un rivoluzionario shampoo utilizzando i gusci delle uova delle sue galline».

- «Ah, sì?» — rispose Susi storcendo il naso — «che cosa carina».

- «Sapesse quante cose capitano al mondo, cose strane ma vere! Sa che, nel 1972, Alonso De Maruillero rimase per quindici giorni in equilibrio su una gamba sola in cima a un palo del telefono, mangiando solo gli uccelli che passavano casualmente di lì?»

Susi, stoica, continuò a fare buon viso a cattivo gioco, pensando che, in fondo, si trattava soltanto di una vecchietta che aveva voglia di chiacchierare un po’. Quando, però, con la coda dell’occhio, si accorse che stava per aprirsi un nuovo sportello, si defilò con eleganza e lasciò l’anziana signora a continuare da sola la sua rassegna di avvenimenti bizzarri.

Fatto fuori l’impegno alle poste, Susi si ricordò che alle 13:00 era attesa a casa di Gianni per un pranzetto fra amici. Gianni abitava all’altro capo della città, così Susi tornò a casa a prendere la sua bicicletta da corsa e iniziò a pedalare di buona lena per non far tardi all’appuntamento.

Gianni — che tipo strano! Completino nero, scarpe e sorriso squadrati, movenze legnose -, Susi non lo sapeva, era segretamente innamorato di lei; aveva strani modi di dimostrarlo, ma il sentimento era più che sincero. Anche Susi non era del tutto indifferente al fascino di Gianni. Avrebbero formato una bellissima coppia insieme.

A cavallo di una bicicletta, Susi sfoderava polpacci degni del miglior Miguel Indurain, delle vere e proprie presse idrauliche, in grado di far girare rapporti altissimi a un ritmo di oltre settanta pedalate al minuto. In soli trenta minuti conquistò non solo la destinazione, ma anche la maglia rosa. Alla porta, Gianni la accolse festosamente e la invitò ad entrare: «Vieni, stavo giusto per mettere in tavola. Accomodati, ho una sorpresa per te».

Susi prese posto, curiosa di scoprire cosa Gianni avesse architettato. Quando lo vide uscire dalla cucina con un piatto da portata in mano, truccato come l’omino delle Tabù, quasi si strozzò col sorso d’acqua che stava mandando giù.

- «Gianni, sei impazzito?!», chiese.

- «Dai, Susi, chi ci ricorda? Rispondi!»

- «Un deficiente con del lucido da scarpe in faccia e un piatto da portata in mano, ecco chi ci ricorda!»

- «Ma no! Dai! Ti aiuto: ho del cibo e sono nero!»

- «No, tu non sei nero, sei tutto scemo!»

- «E dai! Cos’è, non sai la risposta?»

Susi cercò di mantenere i nervi saldi. Contò fino a dieci, poi disse: «Senti, Gianni, facciamo che me lo dici tu?»

- «Va bene, ma le ciliegine sul dessert le mangerò tutte io!»

- «Va bene…», sospirò.

- «Ci ricorda Indovina chi viene a cena! Non vedi? Si mangia, sono nero…»

- «Peccato che sia ora di pranzo e che tu sembri la versione black di DJ-X… Maurizio Seimandi dove l’hai lasciato?»

- «Non sai proprio perdere, Susi!», concluse Gianni.

Gianni era bravo a cucinare e il pranzo gli riuscì proprio bene. I due conversarono a lungo, anche dopo aver mangiato, per tutto il pomeriggio, ricordando i vecchi tempi, quando entrambi studiavano alle rispettive università per corrispondenza. Gianni, a differenza di Susi, aveva studiato medicina, passando intere giornate chino su testi come L’appendice alla pagina della Sfinge, Il libro dei Rompicapo e Aguzzate la vista (che è un po’ un libro jolly per tutte le facoltà universitarie per corrispondenza). Susi, da parte sua, inanellò una lunga serie di barzellette, mentre Gianni l’ascoltava incantato.

Fu un bel pomeriggio.

Quando Susi guardò fuori dalla finestra e si accorse che il sole era ormai sul punto di tramontare, fu dispiaciuta all’idea di doversene andare. «Grazie a te per essere venuta» — disse Gianni — «Prima che tu vada, però, voglio lasciarti un pensierino».

Gianni consegnò a Susi una busta di piccole dimensioni e aggiunse: «Aprila soltanto quando sarai arrivata a casa, mi raccomando!»

Susi sorrise, infilò in tasca la busta e baciò Gianni su una guancia, poi si allontanò in fretta, pedalando a più non posso. Una volta giunta a destinazione, cercò senza successo le chiavi del portone di casa. «Oddio, le ho perse», pensò, «e ora come farò a rientrare?»

Fu un attimo. Un mazzo di chiavi le precipitò in testa da chissà dove, procurandole un enorme bernoccolo.

- «UALET UECHI ECCOQ RONZA AVIST», sentì gracchiare.

Il corvo si era vendicato.

Susi entrò in casa, prese alcuni cubetti di ghiaccio per calmare il gonfiore, staccò il telefono per non essere disturbata e si appoggiò sul divano. Prese dalla tasca la busta che Gianni le aveva consegnato e si affrettò ad aprirla. All’interno c’era un piccolo foglio pieno di figure imprecise, senza alcun significato. Alcune delle aree raffigurate contenevano dei puntini in neretto. In calce al disegno soltanto una nota: “Annerisci gli spazi. Gianni”.

Susi cominciò ad armeggiare con una matita sul foglio e, durante l’operazione, il suo sguardo si fece prima dubbioso, poi sorpreso, infine felice e sognante.

Che tipo strano, Gianni! Completino nero, scarpe e sorriso squadrati, movenze legnose… Susi non lo sapeva, ma Gianni era segretamente innamorato di lei; aveva strani modi di dimostrarlo, ma dirle ti amo, a quel modo… beh, che dire… Gianni, stavolta, era proprio riuscito a superarsi.

Di Gaspare Bitetto

QUID è la rivista digitale del Mensa Italia, l’associazione ad alto Q.I., che raccoglie le competenze e le prospettive personali dei Soci, organizzandole in volumi monografici.

Scaricabile gratuitamente da https://bit.ly/QUID_3

QUID nasce con l’ambizione di confrontarsi senza voler ricomporre a tutti i costi un pensiero rappresentativo e prevalente, per proporre una lettura sempre aperta dei temi che stanno a cuore ai Soci del Mensa Italia

--

--

Mensa Italia

Il Mensa è un’associazione internazionale senza scopo di lucro di cui possono essere soci coloro che hanno raggiunto o superato il 98º percentile del Q.I.