Umorismo e intelligenza

Quanti intelligenti ci vogliono per cambiare una lampadina?

Mensa Italia
5 min readFeb 7, 2020

Spesso si assiste alla falsa equivalenza tra intelligenza e seriosità. Nella cultura pop, ovverosia popolare, la figura della persona intelligente viene rappresentata con eccessiva frequenza tramite le sembianze del classico scienziato genialoide ma assolutamente incapace di comprendere le battute altrui, specie se intrise di sarcasmo o ricamate su metafore o altre figure retoriche.

Gli esempi in letteratura non mancano: basti citare, negli ultimi quindici anni di produzioni televisive, Sheldon di The Big Bang Theory o la versione di Sherlock Holmes affidata alle cure del poliedrico Benedict Cumberbatch. La persona intelligente, in queste situazioni, è certamente ritratta come in grado di generare risate; tuttavia, è fin troppo evidente che queste risate vengono generate ridendo di essa, non con essa. È un tropo narrativo che allo stesso tempo volgarizza e appiattisce l’idea di intelligenza in qualunque ambito legato alla risata.

Ma è davvero così? Davvero tutte le persone intelligenti che abbiamo conosciuto nel corso della nostra vita quotidiana corrispondono a questo stereotipo? O non è forse più corrispondente al vero la teoria secondo cui l’intelligenza può essere (ed anzi spesso è) correlata positivamente con l’umorismo?

Per poter rispondere meglio a questa domanda, è opportuno anzitutto stabilire di cosa si tratti parlando di umorismo. Facciamoci aiutare dalla letteratura moderna, dunque.

«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti di non si sa qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. “Avverto” che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un “avvertimento del contrario”»

Così scriveva Luigi Pirandello nel suo saggio “L’Umorismo”, datato 1908. Ed in effetti è vero: la situazione presentata dall’autore siciliano nel suo scritto fa, o potrebbe fare, ridere. L’assurdità della situazione spinge al riso quasi compulsivo, come se questo avvertimento del contrario prendesse il sopravvento sull’ìntero sistema ortosimpatico e generasse una serie di reazioni che comunemente vengono associate con l’ilarità. Questo però è ciò che avviene nel caso della classica risata “di pancia”. Questo tipo di risata, di fatto, non coinvolge l’utilizzo di un elaborato sistema di collegamenti di significato: vediamo una cosa che dovrebbe essere in un certo modo, vediamo che si presenta in modo totalmente opposto, la cosa ci fa ridere. Volendo appiattire di molto il concetto e senza timore di ammantare la questione di un sottile strato di snobismo, potremmo definire questa situazione come “comicità da cinepanettone”.

Questo, però, non è l’umorismo come inteso da Pirandello — ed in un certo senso inteso tout court, dove l’umorismo assume spesso connotati più ricercati e stratificati rispetto alla crassa comicità. Vediamo come continuava lo stesso Pirandello nel saggio già precedentemente citato.

«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s’inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, risca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico»

Ed ecco che qui si palesa ciò che realmente rende qualcosa “umoristico”: la capacità di riflettere, di ragionare, di cogliere tutti i riferimenti che non stanno solo in superficie ma richiedono un maggior sforzo di comprensione per poter visualizzare tutti i particolari in un unico quadro di insieme.

Volendo azzardare un paragone con un altro tipo di arte, è come osservare un quadro impressionista: l’umorismo richiede la capacità sia da parte dell’autore che dell’utente di allontanarsi dalla tela dipinta per fare in modo che le singole pennellate, a prima vista banali schizzi di colore, contribuiscano a formare una vivida immagine molto completa. Ecco dove entra in gioco l’intelligenza — tenendo bene a mente che quando si parla di intelligenza non ci si riferisce esclusivamente all’intelligenza logica, ma anche a quella emotiva e a quella sociale, ovvero a quelle che ci permettono di meglio comprendere i comportamenti ed i sentimenti delle persone; non a caso i tropi narrativi sopradescritti di Sheldon e Sherlock ritraggono questi personaggi come quasi totalmente carenti di questi tratti, indicando paradossalmente una spiccata intelligenza da parte degli autori.

Un classico esempio di umorismo “intelligente” è quello presentato dai Simpson: sebbene sia possibile gustarsi parecchie gag anche senza scavare troppo, la natura umoristica dello show diventa evidente solo quando la si legge in veste di crudele satira. In questo senso tutte le figure contenute in essa (compresa la nostra consocia Lisa Simpson) fanno ridere in modo molto più scomodo e angosciante quando ci si rende conto di come l’intelligenza degli autori ha costruito le fragili sovrastrutture umane insite nei personaggi proprio per farli fallire ripetutamente in modo così umano e parossistico al tempo stesso. Un altro esempio molto più recente è quello di BoJack Horseman, che quasi estremizza i concetti di fondo dei Simpson e li cala in una satira non più della società americana ma dello showbiz e della vacuità ad esso correlata.

Ridere con intelligenza, e far ridere con intelligenza, sono dunque entrambe cose possibili: l’unico peccato è che per renderle possibili l’intelligenza stessa ci costringe a fare i conti con ansie, paure e delusioni — il sentimento del contrario descritto da Pirandello.

Per ridere più profondamente, è necessario consentire alla propria e alla altrui intelligenza di sprofondare negli abissi. Possiamo dunque definire questo l’ennesimo, umoristicamente ricorsivo, paradosso dell’intelligenza.

Di Simone Ferrari

QUID è la nuova rivista digitale del Mensa Italia, l’associazione ad alto Q.I., che raccoglie le competenze e le prospettive personali dei Soci, organizzandole in volumi monografici.

Scaricabile gratuitamente da http://bit.ly/MensaQUID_01

QUID nasce con l’ambizione di confrontarsi senza voler ricomporre a tutti i costi un pensiero rappresentativo e prevalente, per proporre una lettura sempre aperta dei temi che stanno a cuore ai Soci del Mensa Italia.

--

--

Mensa Italia

Il Mensa è un’associazione internazionale senza scopo di lucro di cui possono essere soci coloro che hanno raggiunto o superato il 98º percentile del Q.I.