This Song of Freedom

La vera libertà non è nel sex, drugs & rock’n’roll, ma nelle piccole gioie della vita. Parola di Omar Pedrini, professione rocker.

Mensa Italia
7 min readAug 2, 2020

Intervista a Omar Pedrini

Chiudete gli occhi. Pensate alla vostra idea di libertà. Molti di voi sicuramente staranno associando delle immagini a una musica, a una canzone che vi ha fatto sentire liberi o che è diventata emblema di viaggi senza meta, di momenti dove potersi scatenare come se non ci fosse un domani. In effetti, la musica si nutre di libertà, sia artistica che nello stile di vita di chi la crea. Omar Pedrini lo sa bene: per anni è stato infatti il leader dei Timoria, una delle più rivoluzionarie band italiane degli anni ’90. Un vero e proprio cane sciolto, come il titolo della sua autobiografia, dove senza ipocrisie racconta una vita di successi, ma anche di eccessi, di tanti alti, ma anche di bassi particolarmente bui, dove il suo orgoglio e la sua coerenza gli hanno fatto comunque affrontare ogni difficoltà di petto, evitando la strada più semplice. Oggi Pedrini ha 53 anni, un cuore che gli ha giocato qualche scherzo di troppo e uno spirito ancora libero, che sazia con la musica, il teatro e la poesia. La sua maturità gli ha fatto cambiare visione sulla libertà, visione che condivide anche con gli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna nel Master di Comunicazione musicale per la discografia e i media.

Peraltro il rocker bresciano, che ringraziamo per il tempo dedicatoci nonostante importanti impegni familiari e l’imminente lancio della nuova versione di Speedball, l’album che 25 anni fa scosse il mercato musicale europeo, conosce bene il Mensa: “Da giovane avevo fatto alcuni test del QI ed erano andati particolarmente bene, volevo fare il test ma poi con gli impegni musicali sempre più importanti non se n’è fatto più nulla. Magari questo potrebbe essere il momento buono per riprovarci!”

D: Omar, come hai vissuto il periodo di quarantena?

R: Ho avuto negli scorsi anni tre interventi a cuore aperto, quindi facendo parte di una categoria a rischio già dieci giorni prima del lockdown ero in un regime di clausura molto stretta. Ancora oggi, che abbiamo ritrovato una certa libertà, benché vigilata, e stiamo tornando lentamente a vivere, non nego che quando esco non sono per niente rilassato…

D: Decisamente strano, per un rocker abituato a stare tra la gente, a passare da un palco all’altro, di città in città…

R: Devo ammettere che ho vissuto bene lo stare in casa: posso sentirmi in compagnia anche da solo, come sentirmi solo quando sono con una compagnia che non mi fa essere a mio agio. Questi mesi sono stati l’occasione per fare cose che non facevo da tempo. Nella mia bulimia letteraria avevo comprato una marea di libri, che adesso ho avuto l’occasione di leggere. E così, sebbene viva in una casa di 58 m2, con la mente ho viaggiato tanto, scoprendo una natura che si riappropriava di Milano, quando aprivo le finestre e mi accorgevo che potevo respirare e sentire un silenzio innaturale… E soprattutto stando con la mia bambina e con mia moglie, godendomi il tempo che uno schizofrenico come me spesso non riesce a trovare. Ma io nasco musicista e sono cresciuto in una famiglia di musicisti: l’esigenza di comunicare e stare in mezzo alla gente alla fine ha cominciato a farsi sentire. Fortunatamente la tecnologia è venuta in mio soccorso, facendo mini concerti e dirette online sui social.

D: La tua è stata davvero una vita sex, drugs & rock’n’roll. È cambiato il tuo concetto di libertà durante la quarantena?

R: Per anni sono andato a letto alle 5 del mattino, con feste dopo i concerti, incontrando centinaia di migliaia di persone, ritrovandomi in situazioni nuove ogni sera. Ho vissuto come un Wanderer, quella figura hessiana della letteratura tedesca che vagabondava per il mondo, sempre pronto a nuove avventure. Ma ho anche vissuto i momenti bui, dove per otto anni non ho fatto dischi e dove mi esibivo in piccoli locali per due lire. Così, quando ho ritrovato il successo, un po’ per la paura

di perdere il treno ma anche per riaffermare il mio ego artistico, ho fatto una vera e propria overdose di gente e di vita. Sicuramente il lockdown ha ripristinato certi ritmi e certi valori, mettendo un po’ in discussione il mio stile di vita. E ora le mie trasgressioni sono giocare con mia figlia o parlare con mia moglie…

D: La libertà ha però dei limiti?

R: Il mio grande maestro Luigi Veronelli sosteneva che la libertà è il fondamento dell’esistenza. Ma, come spiega Platone ne La Repubblica, l’eccesso di libertà porta al caos e limita le libertà altrui, sfociando nell’anarchia. E lo dico da anarchico responsabile! Nella mia vita ho provato tanti eccessi, ma questo alla fine toglie l’interesse e il gusto per quella cosa. Siamo noi e le nostre tentazioni i più grandi nemici della nostra libertà. Io l’ho scoperto a mie spese e per questo ho fatto mio il codice sacro dei samurai, che dice “Veglia su te stesso quando sei da solo”. È stato il concetto fondamentale della mia maturità, che ha così permesso di far vivere tante anime: dall’ultras del mio Brescia al professore alla Cattolica, dal rocker che si scatena sul palco al teatrante che rispolvera i suoi amati classici e cerca un’atmosfera più intima. Proprio per questo, dopo un concerto pazzesco lo scorso dicembre al Fabrique di Milano, adesso inizierò due tour teatrali. E la possibilità di poter vivere esperienze che saziano le varie declinazioni della mia anima mi sta ripagando di tutte le delusioni e la sofferenza che ho vissuto per anni.

D: Durante la quarantena ha avuto molto successo un tuo video, mentre dal tetto di casa tua a Milano suoni Redemption Song di Bob Marley, una canzone a cui sei molto legato…

R: Vero, la considero una preghiera ancora più che una canzone. Ancora attualissima, visti gli echi di guerra e di odio che sentiamo ogni giorno, quando in realtà dovremmo imparare a perdonare e a redimerci, perché è l’unica via per essere davvero liberi. Cantarla in una Milano improvvisamente diventata quieta, con mia figlia che improvvisamente sbuca da dietro vestita da principessa accennando dei passi di danza… Ecco, anche se in casa, ho respirato davvero tanta libertà in quel momento! E vi consiglio di ascoltare la versione di Joe Strummer, ex frontman dei Clash!

D: Hai vissuto l’esperienza di essere leader di una delle rock band più affermate d’Europa, ma anche quella di solista, che ha vissuto sia anni di buio ma anche momenti davvero esaltanti. Come cambia la definizione di libertà?

R: I Timoria sono stati un’esperienza fantastica, che mi ha dato tantissimo. Ma ogni volta che avevo un’idea dovevo confrontarmi con altre quattro persone, tra chi era più sensibile, chi più egocentrico… Insomma, si passava un sacco di tempo a fare riunioni! Da solista chiaramente basta alzare il telefono, parlare con il manager e il gioco è fatto. Si gode di una maggiore libertà artistica, ma è anche vero che, quando le cose vanno male, le persone che hai intorno improvvisamente spariscono e ti ritrovi solo. Mentre quando sei in una band ti senti in famiglia e nelle difficoltà ci si unisce, sostenendosi a vicenda: in quei momenti ti senti libero, quella libertà che ti fa credere di essere invincibile in ogni avversità.

D: La libertà è un concetto che insegni anche ai tuoi allievi della Cattolica?

R: Cerco di insegnare loro a lasciarsi contaminare dalle varie forme di espressione artistica: liberarsi dai preconcetti, lasciare che la musica dialoghi con la letteratura, il cinema con gli impressionisti dell’Ottocento. Indipendenza di pensiero, che sia dai partiti politici o dalle mode del momento. Condivido il pensiero illuminista, dove ogni persona è sempre responsabile delle proprie azioni, della propria mente, della propria volontà e della propria morale. E questa consapevolezza si può raggiungere soltanto studiando e apprendendo. Perché alla fine di tutto la cultura è la massima espressione della libertà.

D: Se la libertà passa dalla cultura, è necessaria quindi una certa curiosità.

R: Personalmente, sfondi una porta aperta, da musicista e uomo di cultura sono costantemente attratto dal nuovo. Ma la Storia ci insegna che sono gli intolleranti le persone meno curiose, che hanno paura del diverso, del barbaro, dello straniero, quando invece le civiltà che più si sono evolute nell’umanità sono quelle che accolgono e portano bellezza, basti vedere i contributi che hanno portato gli Svevi e i Longobardi quando sono arrivati nell’allora Impero Romano.

D: Qui siamo al Mensa, quindi la domanda è d’obbligo: quanto influisce l’intelligenza nella nostra libertà?

R: L’intelligenza è l’arbitro delle nostre azioni, delle nostre passioni e della nostra libertà. È quella che ti dice quando finisce la tua libertà per lasciare spazio a quella degli altri. Ed è proprio per questo che è un dramma la mancanza di intelligenza e di cultura in una società che è sempre più anomala e acefala e che si abbandona a se stessa. A questo proposito, desidero ricordare il grandissimo filosofo Giulio Giorello, scomparso proprio pochi giorni fa e che dimostra come “quando intelligenza, cultura e libertà trovano il proprio equilibrio” il risultato è sempre sublime.

Di Mattia Sacchi

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