Storie di vita e il lapsus

Il lapsus è un errore che rivela l’inganno cui la coscienza ci espone.

Mensa Italia
5 min readNov 10, 2021

Quand’ero studente, facevo parte di un collettivo che organizzava eventi culturali su temi di attualità.

Una volta, io e gli altri membri del collettivo decidemmo di portare in università un piccolo convegno sul tema dello sfruttamento della prostituzione: una questione delicatissima perché intersecava questioni umanitarie e di genere e richiedeva una lettura attenta delle disuguaglianze e dei traumi cui le donne vanno incontro.

Il comitato che si occupava della comunicazione era nervoso e faticavamo a ricevere la conferma di partecipazione da parte di tutte le ospiti mentre la data dell’evento si avvicinava, in più tensioni interne al gruppo si mettevano di traverso generando ulteriore, inutile, nervosismo.

Finalmente arrivarono tutte le conferme, non restava che inviare i comunicati stampa e invitare le persone interessate, tra stakeholder e habitué.

Il volantino fu stampato e affisso per tutto l’ateneo, ma a un certo punto ricevemmo una email da una radio, contenente una sola domanda, muta di parole ma non di contenuto: «?!!».

Fu il gelo. Ripercorrendo i corridoi che affannosamente avevamo riempito di locandine, rileggendo le email spedite agli invitati e alla stampa, controllando e ricontrollando il volantino.

L’errore, palese e tragico, capeggiava nel titolo in maiuscolo: non «Storie di vita», ma una terribile inversione; due lettere che, scambiate di posto, ci mettevano immediatamente dalla parte dei carnefici, dei senza speranza, dei senza possibilità di appello. Un velo di destino beffardo calava così come un sipario su una vicenda pietosa, segnando la fine di un periodo florido di attivismo culturale per tutto il gruppo di lavoro.

Come in ogni argomento complesso, c’è l’aspetto classificatorio, il bisogno di chiusura cognitiva, la spinta ossessiva, e poi c’è il viaggio esplorativo nell’universo invisibile delle possibilità di critica, di scoperta, di collocazione di un fenomeno nella storia e nei suoi significati possibili.

Cominciamo con la prima parte.

In Psicopatologia della Vita Quotidiana Freud affronta il tema del lapsus linguae — divenuto col tempo semplicemente “lapsus” — ossia lo scivolamento, l’inciampo della lingua mentre si parla.

L’interesse di Freud nasceva dal constatare che la vita di ogni giorno sembrava essere come la programmazione Rai negli anni ’80: piena di interferenze, di vuoti, di monoscopi circolari che indicavano l’interruzione della normalità, che per l’uomo borghese austriaco ebreo dell’epoca significava l’astrazione apollinea, l’illusione della piena razionalità. Tra questi ve ne sono di diversi tipi.

Dimenticanza di nomi propri: non si riferisce a quella situazione in cui qualcuno ci si presenta e, proprio mentre ci dice il suo nome, si attiva un tergicristallo mentale che lo cancella, un evento che accade spessissimo nella vita di tutti i giorni. Freud pensava piuttosto a quando non viene in mente un nome noto, mentre ne sovvengono tanti altri anche poco somiglianti: Susanna, Wanda, Giuliana possono assomigliarsi di più di quanto non riescano a fare Susanna, Marianna e Rosanna; un processo simile accade per la dimenticanza di termini stranieri, di parole e di frasi.

Rispetto alla dimenticanza di ricordi di infanzia, invece, quello che accade è che permangano memorie irrilevanti a sostituzione di ricordi più difficili da raccontare e da rievocare; ci si ricorda più facilmente di quella volta in cui si è perso un orsacchiotto che di quando si è partecipato al funerale del nonno. Gli atti mancati forse sono la forma più insidiosa di errore collocato nella vita quotidiana, perché tendono a verificarsi in corrispondenza di fatti molto importanti per noi: un appuntamento di lavoro segnato nel giorno sbagliato o in PM invece che in AM, una corsa in aeroporto lasciando la carta di imbarco nel cassetto di casa, come nel caso della pianista Maria João Pires, quando, in un’esecuzione del concerto in re minore di Mozart, scoprì di aver preparato un altro concerto: lo realizzò lì, al momento, quando la Royal Concertgebouw Orchestra attaccò a suonare le prime note su cui lei dovette inserirsi con il pianoforte.

La vita quotidiana, insomma, può essere davvero costellata di momenti orribili, e questo perché la nostra mente può giocarci scherzi. La consapevolezza di ciò è forse uno dei contributi maggiori dell’autore viennese, un’eredità senza la quale oggi non sarebbe neanche lontanamente pensabile essere così plurali, variegati e conflittuali.

Per Freud, infatti, l’errore è una sonda nell’ignoto, un luogo governato da una logica che gli è propria, in cui il paradosso trova posto senza scardinare nulla dell’impianto generale. Quello che ci dice Freud è che l’ignoto è una componente presente e viva nelle nostre vite, un po’ come se in ognuno di noi albergasse un folletto, una creatura dispettosa, un homunculus arso da forze biologiche mastodontiche, che sono quelle della vendetta, del sangue, ma anche del possesso e del godimento.

Il lapsus è dunque un errore che confessa, un’intenzione perturbatrice che nasce da un’estraneità interiore, da una parte di noi che non rientra nella nostra identità nota; il lapsus è il linguaggio che confessa.

I linguisti hanno cercato di risolvere il problema ricorrendo a spiegazioni fondate sulla somiglianza dei suoni o sull’anticipazione o posticipazione di una parte del discorso che agisce proattivamente o retroattivamente; quello che aggiunge Freud è che l’universo dei significati inconsci delle parole prevale sulla dimensione esteriore, e che questo universo è organizzato in maniera topologica, in base a principi che rimandano alle vicende della biografia individuale e, allo stesso tempo, alla storia della specie umana.

Sono dunque i significati a spostare le parole, non le somiglianze superficiali.

Trasposizioni di senso, anticipazioni, posposizioni e contaminazioni sono tutti fenomeni possibili in un inconscio qualitativo, relazionale, dove il molteplice è in connessione col molteplice, e questo pone un quesito che vale la pena mettere su un piano storico: quanto dell’interpretazione sicura del nostro presente è frutto di un inganno della geometria dell’inconscio? Quanto è probabile realizzare in futuro che parole fondative della nostra vita siano scivolate a tal punto dal loro senso originario da essere diventate qualcosa di profondamente diverso? Se ne accorgerà chi per sbaglio un giorno, per descrivere — per esempio — il bisogno di compiere scelte autodeterminate, dirà “libertà”, e poi si correggerà aggiungendo «Che lapsus, libertà è un’altra cosa».

Di Armando Toscano

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