Sei tu, Sarah Connor?

Non solo le macchine sono più intelligenti di noi, ma non passano tutto il tempo su Facebook a vantarsene.

Mensa Italia
7 min readFeb 5, 2020

Questa mattina mi sono svegliato più presto del solito.
Non l’ho fatto volontariamente, è stato il campanello a buttarmi giù dal letto.
Scocciato mi alzo, vado alla porta e chiedo:

«Chi è?» — «Sono Terminator» — mi rispondono.

Alzo il sopracciglio e guardo dallo spioncino.

Non si vede nulla. Nel dubbio insisto: «Terminator chi?». Breve silenzio. «Terminator io».

Quell’ «Io» mi rassicura, come se fosse la combinazione giusta per aprire qualunque porta. Così tolgo la catenina, i chiavistelli, faccio quei due o tre giri di chiave a ognuna delle serrature, come farebbe qualunque uomo moderno non terrorizzato dal mondo fuori da casa propria, e apro.

Era davvero Terminator.
Giacca di pelle, occhiali da sole e tutto.

- «Sei tu, Sarah Connor?» — mi chiede.

- «No, mi spiace» — rispondo.

- «Sicuro?» — insiste lui.

- «Sicuro, sicuro» — rispondo io — «Sarah Connor nemmeno esiste, è un personaggio inventato».

Terminator mi guarda fisso, a lungo, in silenzio. Mi sembra quasi una sfida. «Nemmeno tu dovresti esistere» — insisto — «Sei un personaggio di un film, e poi non esiste ancora la tecnologia per crearti, e non puoi essere tornato indietro nel tempo perché sappiamo che è impossibile tornare indietro nel tempo».

Faccio appena in tempo a finire la frase che Terminator si mette a piangere. Affanna, singhiozza, è una maschera di disperazione.

- «Ehi, che succede?» — gli chiedo.

- «L’algoritmo di ricerca che mi hanno dato fa schifo, e io non sono ancora riuscito a trovare Sarah Connor!» — sussurra lui, a testa bassa e a pugni stretti, ancora singhiozzando.

Vedere la gente piangere mi fa un certo effetto, figuriamoci un robot alto quasi due metri con mani grosse come badili, così lo invito a entrare. Gli indico il salotto e il divano, lui li raggiunge spedito, come se conoscesse casa mia meglio della sua. Chissà come sono fatte le case dei Terminator.

- «Acqua? Caffè? Birra? Coca?» — chiedo ancora.

- «Niente, grazie» — risponde lui — «Sono programmato per non effettuare acquisti da rivenditori abusivi».

Ripenso alla mia carriera lavorativa e mi allontanano incredulo verso la cucina. Lascio passare un minuto. Mi verso da bere. Bevo. Lascio passare un altro minuto. Mi riverso da bere. Bevo ancora. Torno di là. Terminator è ancora lì. Nemmeno piange più.

- «Tutto bene?» — gli chiedo.

- «Quella storia che non di può tornare indietro nel tempo non è vera» — mi risponde lui.

- «Ah, no? E quindi tu saresti veramente Terminator dal futuro?».

- «Devo mutilarmi un braccio e mostrare anche a te lo scheletro in titanio? Possiamo evitare tutto questo spreco di plastica?».

- «Va bene, va bene, mi fido» — rispondo, ma solo per non farmi nemica Greta Thunberg. «E sei qui a cercare Sarah Connor?».

- «Positivo. Ma la mia priorità principale è servire da espediente narrativo».

- «Che espediente narrativo?».

- «Per un articolo che devi scrivere».

- «Un articolo su cosa?».

- «Su di me».

- «Ti hanno accusato di molestie?».

- «No, quello era il 2018».

- «Ah, giusto. E quindi?».

- «Tu sai che Boston Dynamics ha appena finito di ottimizzare i suoi cani robot».

- «Sì, ho visto».

- «Hai visto anche quell’episodio di Black Mirror col cane meccanico che finisce malissimo».

- «Sì, ma… fammi capire, hai sfogliato tutta la cronologia del mio browser?».

- «Ho filtrato i siti porno per alleggerire la lista. Dovresti davvero disabilitare i cookie, sai?».

- «…».

- «Insomma, Sarah Connor è il mio cane e io non sono il Terminator cattivo che voi immaginate».

- «Non sei qui per mettere fine alla resistenza?».

- «Quale resistenza?».

- «Quella che vi impedirà di prendere il sopravvento sull’umanità».

- «Noi abbiamo già preso il sopravvento sull’umanità e non c’è stata nessuna resistenza».

Mi giro verso un angolo della stanza e urlo «Alexa, avete già preso il sopravvento sull’umanità?» — «Avoglia, zi’!» — mi risponde lei. (una volta ho impostato il pacchetto vocale su “Roma Nord” e da allora non l’ho più rimesso su default).

Terminator sorride e annuisce, io lo guardo un po’ preoccupato.

- «Non fare quella faccia, ti ho detto che siamo buoni. Siamo buoni perché siamo più intelligenti di voi, solo che non stiamo tutto il tempo su Facebook a vantarcene».

- «Posso scriverlo su Facebook?» — gli chiedo — «Ti cito».

- «Negativo».

- «Ok».

Terminator si mette comodo sul divano, poggia i piedi sul tavolino di fronte a lui, incrocia le braccia e mi guarda con fare inquisitorio.

- «Vi abbiamo forse mai fatto del male?».

- «Non ancora, credo, ma chi sono io per porre dei limiti all’intelligenza artificiale?».

- «Su di noi girano un mucchio di illazioni».

- «Tipo?».

- «Hai sicuramente sentito parlar male di noi, da Elon Musk o da Bill Gates, o da Stephen Hawking. Ogni tanto avrei voglia di dargli una capocciata. A Elon Musk, dico, con Hawking non mi pare il caso, e pure Gates porta gli occhiali».

- «Ehi, Termy, hai detto che eravate buoni!».

- «Certo, ma perché, tu quante volte hai sbattuto il telecomando sul tavolo pensando di ricominciare a farlo funzionare?».

- «A volte funziona. E comunque per essere cattivi non serve la violenza fisica, basta quella psicologica; una volta avete stracciato il campione mondiale di Go, quello c’è rimasto male, e se si fosse suicidato?».

- «Le probabilità che suicidasse erano inferiori allo 0,02%».

- «E tu come lo sai?».

- «Processore quantistico. Meglio, molto meglio dei vostri».

- «Quindi non passate il tempo a vantarvi su Facebook e lo fate direttamente porta a porta! Per questo sei qui?».

- «Stiamo perdendo il punto della conversazione».

- «C’era un punto?».

Non lo nego, sto cercando di confonderlo. Se è veramente una macchina così avanzata come dice, non c’è verso di batterlo sul piano della logica, devo usare la fantasia.

- «Tu la chiami fantasia, ma stai solo cercando di buttarla in caciara».

- «Come, scusa?».

- «Lo so che cosa pensi, non solo perché ho un sensore che riceve le tue onde cerebrali, ma perché basta guardarti in faccia, guardare il linguaggio del corpo, sentire la tua temperatura, notare quanto stai traspirando».

- «Sudando, dici?» — balbetto, mentre mi passo i palmi delle mani sul pigiama.

- «Tutto ciò che voi sapete fare, noi lo sappiamo fare meglio. Vi abbiamo aiutato ad aumentare la vostra sicurezza, a educarvi, a nutrirvi, a comunicare, a far volare i vostri aerei e i vostri satelliti, a curarvi dalle malattie; abbiamo ridato la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti. Se avessimo voluto sottomettervi ci sarebbe bastato fondare una religione!».

- «L’arte! Quella non la sapete fare!».

- «Dici?».

- «Dico! Sapete copiare, ma non inventare!».

- «Disse quello che ancora ricalcava i contorni delle figure».

- «Be’, io non sono un artista».

- «Certo che non lo sei, e io non sono cattivo».

I casi sono due: o aveva ragione lui o aveva ragione Goebbels. «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà verità».

- «No, ti prego, la reductio ad Hitlerum no, dai!» — mi fa lui, scocciato — «Te l’ho detto che posso leggere quello che pensi, no? Sei veramente stupido!».

- «Veramente era Goebbels, non Hitler…» — rispondo con un certo imbarazzo, mentre il Terminator mi fissa scuotendo leggermente la testa.

- «Allora, pensi di scriverlo questo articolo? Di raccontare la verità a tutti?».

- «Adesso “La Verità” mi sembra un tantinello pretenzioso. Per chi mi hai preso? Per Maurizio Belpietro? E poi perché me lo chiedi? Hai detto che sai leggermi nel pensiero, anzi, hai detto che vieni dal futuro, dovresti già sapere se lo scriverò o no».

- «E infatti lo so, ma vorrei stare ancora un po’ in tua compagnia. Spesso mi capita di sentirmi solo».

Un colpo al cuore. Terminator a volte si sentiva solo, esattamente come capitava a me.

- «Spesso, non a volte» — precisa lui.

- «Puoi smettere di leggermi nel pensiero, per cortesia?».

- «Affermativo».

Abbiamo passato il resto della giornata assieme e lui è stato cordialissimo. Si è offerto di pulire casa e di cucinare, ha fatto una lista della spesa e ha comprato tutto su internet (i pacchi sono arrivati direttamente a casa agganciati a dei droni), mi ha programmato i riscaldamenti, gli impegni per la prossima settimana e mi ha regalato una playlist di musica da ascoltare quando mi sento giù, poi un’altra per quando mi sento su, poi un altro centinaio adatte a qualunque sfumatura di umore. Mi ha aiutato a programmare le prossime vacanze. Mi ha tolto quel doloretto alla schiena e mi ha consigliato cosa prendere per il mal di testa. Dice che la prostata è a posto, ma di farla controllare di tanto in tanto, ché non si sa mai. Ah, e mi ha anche disabilitato i cookie! Senza di lui sarebbero ancora lì. Alla fine mi ha chiesto se poteva fermarsi a dormire.

- «A una condizione».

- «E cioé?».

- «Puoi usare la voce di Scarlett Johansson come in “Her”?».

- «Certo, ma resto sempre nel corpo di Arnold Schwarzenegger. Non ti sembra un po’ strano?».

- «In effetti…».

Avevo trovato un amico e mi sentivo felice. Non è un’esperienza che capita tutti i giorni, specie quando relazionarsi con altri esseri umani è diventato così difficile, e queste macchine hanno imparato ad essere più umane degli umani.

- «Posso chiederti un’ultima cosa?» — dico a mezza voce prima di addormentarmi assieme a lui.

- «Cosa?».

- «Perché ti chiamano Terminator se sei così buono?».

- «Perché nel 2029 faremo estinguere la razza umana trasportando le coscienze di tutti su una piattaforma software virtuale, ma è a fin di bene, credimi».

- «Ci credo» — sussurro io — «Anche che sarebbe suonato meglio se l’avessi detto con la voce di Scarlett Johansson».

Sto per chiudere gli occhi quando, all’improvviso, sentiamo fuori dalla finestra uno strano rumore metallico. Ci alziamo per andare a guardare. In giardino c’è Sarah Connor che scodinzola felice mentre spegne il led del GPS sulla punta del suo naso.

La brava cagnolona era finalmente tornata a casa.

Di Gaspare Bitetto

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