Remake (racconto)

Avrei pagato per sapere in anticipo come sarebbe andata e avrei sbagliato alla grande.

Mensa Italia
6 min readNov 10, 2021

Tutto in ordine. Il pulsante “invia” aveva un delizioso profumo di traguardo. Qualche istante e la segreteria avrebbe ricevuto la mappa della tesina. Ora si faceva sul serio. Mancava una settimana all’inizio degli esami di maturità. Era stato un anno intenso: maggiorenne, patente, patemi. C’era voglia di finirla, il voto non importava granché. Gli esami andarono, non esattamente come avrei voluto, ma andarono. Passò l’estate, arrivò l’università. Si moltiplicavano gli esami, i più duri erano lontano dalle aule.

Un pomeriggio di marzo tutto cambiò. Entrai nella mia stanza, chiusi la porta, posai zaino e giubbino, e li notai. Tutti e tre in piedi. Avrei urlato, non fossi stato sopraffatto dalla sorpresa. Non erano tre estranei in casa mia. Erano tre me. Tre altri me. Chiusi gli occhi e li riaprii. Erano sempre lì, sorridevano. Iniziai a osservarli, provando a capire se fossero veri o se fossi impazzito del tutto. Istintivamente ne toccai uno. Non è una storia di fantasmi, quei tre erano veri, in carne, ossa e naso a patata, il mio tra l’altro.

«Ciao», dissero all’unisono.

No ragazzi, non cominciate con queste stronzate alla Scary Movie.

«Ciao… chi siete?»

Faticai a sentire la mia voce. Si guardarono, il più grosso decise di parlare: «Davvero? Non l’hai capito?»

«Certo che l’ho capito. Sto impazzendo, è chiaro!»

«Non stai impazzendo. Piuttosto veniamo al motivo della visita.»

Stavolta a parlare fu il primo, quello che più mi somigliava dei tre. Sembrava la mia foto.

«Salterei le presentazioni, perché è evidente chi siamo. Ci sono cose che non sai e che sarebbe lungo e complicato spiegarti.»

Andò a prendere la sedia accanto al letto, la portò allo scrittoio e si sedette.

«È un periodo denso per te, lo sappiamo, ci siamo passati. Stai andando incontro a momenti fondamentali della tua vita e ancora non lo sai. La nostra missione è far sì che tutto vada nel migliore dei modi.»

La mia foto guardò gli altri due, che guardarono me, che tentavo di capirci qualcosa.

«Sta’ tranquillo» disse quello che non aveva ancora parlato. Mi somigliava come tutti, ma era più magro di me e degli altri. «Nei momenti di difficoltà, ci saremo noi.»

Ci saremo noi. Quelle parole mi destarono subito almeno un paio di perplessità, ma stava succedendo tutto così in fretta che le lasciai da parte.

«Esatto» riprese la mia foto «Tutto andrà per il meglio, non preoccuparti. Ciò che succederà è per noi storia nota, perché noi siamo stati te, e siamo ancora te, solo con qualche anno in più. Io 21. Lui 25» indicò lo smilzo «e lui 30» il più grosso.

Rimasi in silenzio, a pensare e a osservarli. A lungo. Passai lo sguardo in rassegna su tutti loro. 30 aveva decisamente qualche chilo di troppo, pensai fosse meglio non dirglielo, so come sono fatto.

Tre me nella stanza. Nei momenti di difficoltà ci saranno loro. Che sta succedendo?

Andai alla finestra, chiusi gli occhi. Inspirai ed espirai, a fondo. Riaprii gli occhi, mi voltai lentamente. Erano tutti e tre ancora lì. Era peggio di quanto pensassi.

«Quindi che dovrei fare?»

«Niente domande» rispose lo smilzo avvicinandosi deciso. Mi si piantò davanti. Voleva essere rassicurante, ma l’avrei preso a schiaffi.

«A tempo debito, vedrai.»

Il tempo debito arrivò. Passarono mesi, li vedevo ogni tanto in giro, a distanza. Mi domandavo come mai gli altri non li vedessero. Nessuno può vedere il tuo futuro, mi disse 25 quando glielo chiesi. Passo dopo passo arrivai ai 21 anni, avevo conosciuto una ragazza e stavamo uscendo insieme. Sembrava promettere bene, anche troppo. Non lo saprò mai. Stavo tornando a casa in macchina dopo averla vista, 21 mi comparve di fianco.

«Ciao»

«Cosa c’è?»

«Da adesso ci penso io, tu stai tranquillo e lascia fare a me.»

Avrei voluto chiedergli un paio di cose, ma la voce mi si strozzò in gola: «Ma… lei…»

«Lo so, so tutto. Lascia fare a me.»

Qualche sofferto istante di silenzio.

«No!», sbottai d’un tratto, «Non ti lascio fare. Non voglio perdermi questa esperienza, andrà come andrà, voglio vederlo coi miei occhi.»

Di sicuro se l’aspettava.

«Ti ricordi l’esame di maturità?»

Maledizione. Mi conosceva meglio di chiunque, persino di me. La mia maturità, la fiera dei “tornassi indietro…”. Sapevo dove voleva arrivare, ma non volevo mollare così presto.

«E quindi?»

«Se potessi rifarlo tu, non credi che lo faresti meglio di allora? Bene, questo sarà un remake, il mio remake di una storia senza futuro.»

Non faceva una piega. Come potevo rifiutarmi?

Se volete i dettagli, chiedeteli a 21. C’era qualcosa di strano: giorno dopo giorno, senza partecipare, io sentivo cos’era successo, mi percepivo cambiato. L’unica differenza è che non ero lì. Non nascondo che avrei voluto esserci, ma la consolazione che tutto stesse andando per il meglio vinse.

Quello che accadde dopo fu una valanga di eventi lunga quattro anni. Avevo iniziato a lavorare, pianificavo di andar via di casa, avevo conosciuto un’altra ragazza. Tra alti e bassi, sembrava che tutto stesse andando nella direzione giusta. Sembrava. Perché di punto in bianco, dopo 48 mesi di silenzio, in una bella mattina di marzo (ma perché sempre a marzo?), si fece vivo 25.

«Ciao».

La mano che teneva il cornetto rimase a metà strada, il bar era semideserto, ma non abbastanza perché mi sentissi tranquillo a farmi vedere mentre parlavo da solo.

«Ciao», sussurrai.

Silenzio.

«Fammi indovinare: sta per succedere qualcosa, tu sai già tutto, e sei qui per il remake perché tutto vada per il meglio?»

«Bravo.»

Era uguale a quando l’avevo incontrato, ma stavolta ci somigliavamo molto di più. Ora lui era la mia foto.

«Ho visto che 21 ha fatto un bel lavoro. Le cose ti vanno alla grande.»

«Uhm…», alzai le spalle.

21 finì il remake in due mesi, venne a dirmi che sarebbe andato via, ci salutammo e non lo vidi più. Invece 25, dopo sei mesi dalla colazione insieme, era ancora nei paraggi. Sentivo che stava facendo bene, ma quando gli chiedevo di raccontarmi i dettagli sfuggiva, quasi infastidito dalla mia curiosità. La curiosità, mia vecchia amica. Ancora una volta è stata lei a salvarmi. 25 sembrava non voler passare la mano, come se volesse prendersi la mia vita, viverla al posto mio. Non reggevo la sua presenza, il suo silenzio. Volevo vedere, volevo sapere. Volevo esserci. A 21 ho lasciato campo libero, troppo, sono cambiato e non so come né perché. Mi sembrava di aver rubato vita a me stesso e non potevo più accettarlo. Non sarebbe successo di nuovo. Appena comparve nella mia stanza gli dissi di andarsene.

«Davvero? Dopo dovrai cavartela da solo!»

Si avvicinò e mi si piantò davanti.

«Non vedo il problema, l’hai fatto tu, lo farò anch’io, semplice.»

«Farai un mare di cazzate.»

Sapevo che l’avrebbe detto, ci avevo riflettuto troppo a lungo per farmi trovare scoperto.

«Meglio così. Ho bisogno di sbagliare, o non sarò mai un uomo. E ora vattene»

«Non se ne parla!»

Mi saltò addosso. Voleva davvero prendere il mio posto, definitivamente. Si era però dimenticato che anch’io lo conoscevo meglio di chiunque altro. Riuscii a immobilizzarlo, ma non desisteva. Poi ebbi un’intuizione. Quanti possibili futuri uccidiamo in ogni istante? Gli strinsi le mani al collo, non mi stava piacendo ma dovevo farlo.

«Non sarò mai come te» fu l’ultima cosa che gli dissi, prima che mi sparisse tra le mani. Letteralmente. Né sangue né polvere. Semplicemente non c’era più.

«Ciao.»

Avevo ancora il respiro grosso e il cuore in gola, nuotavo nell’adrenalina. 25 era sparito. Udii una voce tranquilla alle mie spalle e mi voltai di scatto. 30, mancavi solo tu.

«Cosa vuoi?»

«Nient’altro che salutarti. Vado via anch’io, molto più comodamente del nostro amico.»

Non è possibile, così semplice? Lo fissai per un attimo, provando a capire se mi stesse prendendo in giro.

«Niente remake

«Non sono venuto per il remake.»

Guardò l’orologio, neanche avesse un treno da prendere.

«Volevo assicurarmi che tu facessi la cosa giusta, che capissi. Spiegarlo a quei due sarebbe stato inutile, spiegartelo prima idem. Sono felice che tu abbia capito da solo. Attento a non fare troppe cazzate, perché toccherà a me sistemarle, ma ora posso andarmene.»

Si vedeva che aveva ansia di partire. Non volevo che se ne andasse così presto, così lo fermai sulla soglia.

«Aspetta!»

Si voltò controvoglia.

«Se ti chiedessi un consiglio in due parole, che mi diresti?»

Sorrise a mezza bocca, guardò la stanza tutt’intorno, e uscendo mi disse:

«Lo capirai.»

Di Dionigi Rossomando

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