Paura nuda e cruda

Mensa Italia
4 min readAug 29, 2022

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Una volta sì, ebbi paura.

Quella disgraziata di mia sorella si nascose dietro lo stipite di una porta e quando passai mi urlò: «Bu!» Mi prese un colpo e mi venne l’itterizia.

Fu un episodio unico perché io in realtà non avevo mai paura. Forse un po’ di paura la provavo quando sentivo dietro di me dei passi camminando in una strada buia. O quando sentivo dei rumori in casa la notte se non c’erano i miei genitori. Non so che cosa siano gli attacchi di panico di cui molti vanno orgogliosi, non ho paura di cadere da una ferrata se vado in montagna, non ebbi paura quando un fulmine colpì il mio aereo, anche se non sapevo ancora che la gabbia di Faraday protegge gli aerei da qualsiasi tipo di fulmine. Non ho avuto paura di buttarmi dalla quarta torre del Vajolet a corda doppia, tecnica che ignoravo che cosa fosse fino a quel momento. Non ho mai avuto paura tutte le volte, molte, che mi hanno licenziato anche se rimanevo in braghe di tela. Avevo solo un po’ di timore quando, a Panorama, portavo un articolo al controllo del mio direttore che era molto severo. Ma era il mio orgoglio che aveva paura, non io.

Una volta avrei dovuto avere paura, ma mi dimostrai come sempre incosciente.

Ero nel parco nazionale dei geyser a Kamchatka, quella regione russa famosa soprattutto per essere una conquista molto ambita da parte dei giocatori di Risiko.

Il capo del parco, Vasili, ci ospitava, me e mia moglie, nella sua casa.

Il parco, grande grosso modo quanto l’Italia, era popolato da centinaia di orsi bruni ed era la stagione degli amori, periodo durante il quale gli orsi sono particolarmente permalosi.

Vasili ci spiegò tutto sugli orsi e sulle loro abitudini. «Se incontrate un orso», ci disse, «scappate, ma non arrampicatevi su un albero. Gli orsi sono più bravi di voi. Piuttosto cominciate a liberarvi pian piano dei vostri vestiti. Gli orsi sono curiosi come delle portinaie e si fermano a raccogliere gli indumenti. Prima il cappello, poi la giacca, poi la camicia. E via così. L’orso si fermerà ogni volta a usmare i vestiti e voi avrete tempo per rifugiarvi in casa.»

Vasili era un tipo molto ingegnoso. A un centinaio di metri dalla sua abitazione, aveva costruito una lavatrice utilizzando una piccola cavità naturale che veniva inondata una volta al giorno da un geyserino bollente che, dunque, con l’aiuto di un po’ di sapone, lavava e centrifugava il suo bucato.

Lì vicino, approfittando di altri due piccoli geyser, aveva costruito una specie di bagno. A una certa ora il piccolo geyser di acqua calda insieme a un piccolo geyser di acqua fredda riempiva una vecchia vasca da bagno smaltata. Io e mia moglie andammo subito a godere di quel meraviglioso connubio tra evento naturale e ingegno umano. Eravamo immersi nell’acqua, completamente nudi quando comparve un’orsa piuttosto grandicella che mostrava intenzioni bellicose, ritta sulle sue zampone posteriori e con quelle anteriori alzate in aria.

Subito presi una decisione temeraria e un po’ folle: consegnai la macchina fotografica a mia moglie e le ordinai di fotografare la mia impresa.

Le dissi: «Adesso io esco dalla vasca e muovo qualche passo verso l’orsa. Tu fotografa la scena.»

Il mio ego, che era già allora smisurato, mi faceva immaginare la prima pagina dei giornali in cui la foto del deficiente e dell’orsa sarebbe apparsa sotto il titolo “Giornalista italiano affronta tutto nudo l’orsa sovietica” o, alle brutte, “Giornalista italiano sbranato da orsa infuriata”, il che, per il mio ego, non faceva differenza.

Mossi qualche passo facendo diminuire di una decina di metri la distanza che mi divideva dall’orsa, la quale rimase un po’ allibita dal mio comportamento, non so se se ammirata per la mia virilità oppure stupita della mia idiozia.

Rimanemmo qualche secondo così, immobili, uno di fronte all’altra, a guardarci come in un duello in “Sfida all’Ok Corral”, poi l’orsa abbassò le zampone e se ne andò.

Mi voltai e tornai indietro tutto tronfio da mia moglie: «Hai visto? Quante foto hai scattato?»

La disgraziata rispose: «Nessuna.»

Ebbi paura di ucciderla.

Di Claudio Sabelli Fioretti

Giornalista, conduttore radiofonico, autore televisivo, scrittore. Va orgoglioso soprattutto della sua camminata a piedi da Lavarone a Vetralla.

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