Out of the Box

Come ho capito di essere omosessuale grazie ad Ambra Angiolini

Mensa Italia
5 min readAug 2, 2020
Video su https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/playcult/un-ragazzo-gay-si-racconta-a-generazione-x_FD00000000104598

Io ho avuto la certezza di essere omosessuale nel 1996, con Ambra Angiolini. Che detta così sembra che ci sia andato a letto e lei abbia fornito una prestazione talmente scadente da farmi dire “mai più”.

No, all’epoca lei conduceva un talk pomeridiano chiamato Generazione X e io avevo 13 anni.

Ma facciamo un passo indietro.

Sono stato sempre portato all’introspezione ed ero consapevole che la mia sessualità venisse stimolata solo dal genere maschile (dall’eccitazione provata negli spogliatoi a innamoramenti verso compagni di classe), eppure non mi interrogavo al riguardo.

Non pensavo che questo fosse in contrasto con l’immagine che mi ero fatto del mio futuro e che contemplava naturalmente una donna e dei figli. Guardavo le ragazze e le valutavo persino per la loro bellezza, inconsapevole che il mio sguardo fosse privo di eccitazione, molto più vicino a quello che posso rivolgere a un’opera d’arte.

Non pensavo che quello che provavo per qualche mio coetaneo potesse essere amore romantico, poiché — semplicemente — non mi era mai stato detto che fosse possibile provarlo verso persone del proprio sesso.

Ero un avido consumatore di film (l’avvento di Blockbuster fu per me una manna), serie TV (che collezionavo abusivamente programmando il videoregistratore e registrando su tante, tante VHS vergini), e di libri, eppure non mi ero mai trovato di fronte a una storia che parlasse apertamente di omosessualità. All’epoca, quell’argomento veniva principalmente relegato a titoli di genere, in cui difficilmente un pre-adolescente avrebbe potuto imbattersi casualmente.

Sicuramente avevo sentito pronunciare la parola gay (ricordiamo che non erano passati molti anni da quella deflagrazione sociale e culturale che fu l’esplosione dell’HIV), ma nessuno mi aveva mai spiegato cosa volesse dire.

Poi un pomeriggio, durante quel programma condotto da Ambra Angiolini, sentii per la prima volta parlare apertamente di omosessualità. Un ragazzo, troppo timoroso per andare in studio, chiamò e raccontò la sua storia (che la telefonata fosse autentica o scritta dagli autori adesso è irrilevante). Spiegò che lui era gay perché era attratto da altri maschi e si innamorava di loro.

Per la prima volta capii che quella parte di me aveva un nome e, soprattutto, che avrebbe avuto un impatto enorme sulla mia vita.

La sensazione fu quella di un pezzo del puzzle che, inaspettatamente, aveva trovato la sua collocazione. Un click.

All’epoca internet non era ancora entrato nelle nostre case e l’unico modo per reperire informazioni erano le biblioteche o le riviste di settore. Andai al desk della biblioteca e, con le gambe tremanti, mentii senza ragione, come spesso siamo portati a fare quando siamo insicuri: “A scuola ci hanno chiesto di fare una ricerca sull’omosessualità”.

Non volendo portare quei libri a casa, passai giorni in biblioteca per leggerli tutti. Terminate le letture, ne parlai con un compagno di classe, il quale era a digiuno quanto lo ero io di qualsiasi nozione sull’argomento.

E quello fu di fatto il mio primo coming-out.

Temo che oggi il concetto di coming-out possa venire associato a una forma di esibizionismo. “La sessualità è una cosa privata” ci sentiamo a volte rispondere, ma fare coming-out non significa necessariamente andare per le strade ad affiggere manifesti, significa innanzitutto smettere di nascondersi.

Poiché spesso non ci rendiamo conto delle implicazioni di ciò che riteniamo ordinario, forse non tutti gli eterosessuali comprendono a pieno l’impatto che sessualità e affettività hanno sulle nostre interazioni sociali. Nel caso di un uomo eterosessuale è naturale commentare tra amici o colleghi l’avvenenza di una donna, o rispondere a un invito “questa sera vado al cinema con la mia ragazza”, mentre nel caso di un omosessuale che si nasconde, queste situazioni quotidiane implicano mentire. Ed esercitarsi sin dalla giovane età alla menzogna, con amici e parenti, non è una pratica sana.

Il coming-out fa innanzitutto bene a se stessi, aiuta a vivere meglio, più pienamente.

A oltre vent’anni dalla mia esperienza, mi sento di escludere che ora, in Italia, un ragazzino possa arrivare a 13 anni senza aver mai sentito parlare di omosessualità. Grazie innanzitutto all’accresciuta rappresentazione dei media.

Serve però rilevare che esternazioni del tipo “ormai devono mettere il personaggio gay ovunque” nascono più dal disinformato battibecco social che da un’analisi oggettiva.

La dottoressa Stacy L. Smith della University of Southern California conduce dal 2016 un osservatorio sulla disparità di rappresentazione nell’intrattenimento*: nel 91% dei film hollywoodiani non compaiono questi onnipresenti omosessuali.

Concludo riportando la deliziosa risposta che mi diede il compagno di classe con cui feci il mio primo coming-out.

Avendo terminato con «Quindi penso di essere omosessuale», lui, serio, mi rispose: «Ho capito. Io invece sono sicuro di essere donno-sessuale».

A proposito di rappresentazione, vale la pena di menzionare che nella versione live action de La Bella e La Bestia (2017), il colosso dell’animazione Disney ha incluso il suo primo personaggio apertamente omosessuale (Le Tont), in quasi un secolo di produzioni. Il personaggio appare sullo schermo per pochissimi minuti, ma sufficienti a sollevare polemiche in tutto il mondo, inclusi Paesi che ne hanno vietato la proiezione, o che hanno chiesto di effettuare dei tagli alla pellicola (rifiutati dalla Disney).

Nonostante alcuni tentativi locali di boicottaggio, il film ha incassato 1 miliardo e 722 milioni di dollari, entrando (nel 2017) nella top 10 dei maggiori incassi nella storia.

Di Manuel Cuni

*https://www.lastampa.it/tecnologia/idee/2018/06/06/news/donne-gay-minoranze-etniche-e-disabili-piccola-guida-alla-discriminazione-nei-videogiochi-1.34022458

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