Oltre la collina
Il ruolo del futuro nella leadership e l’importanza di camminare con la testa tra le nuvole.
Se qualcuno mi chiedesse qual è, secondo me, il primo dovere di una buona leadership, risponderei senza esitazioni farsi ossessionare dal futuro.
Ma facciamo un passo indietro. Chi mi conosce personalmente può sorprendersi di come una persona introversa e fondamentalmente incapace di impartire un ordine, si sia trovata esposta in ruoli di leadership, a partire dalla scuola dell’obbligo.
Penso che la sorpresa derivi da un fraintendimento sulla figura del leader che culturalmente facciamo coincidere con quella del capo, da qui in poi chiamato arbitrariamente manager.
Propongo una schematizzazione estremamente sintetica degli ambiti di riferimento delle due figure, ugualmente importanti.
Naturalmente queste divisioni in compartimenti stagni (che tanto piacciono ai feticisti della sintesi come me) nella realtà non esistono; un po’ come nei giochi di ruolo, se un personaggio è da solo, dovrà trovare il modo di incarnare tutti questi aspetti, mentre nel lavoro di squadra è possibile esaltare tutto lo specifico potenziale dei due elementi, a patto che si trovi un’armoniosa complementarietà.
Se, ad esempio, una persona con una mentalità prettamente manageriale viene messa in una posizione di leadership, questa probabilmente non saprà assemblare una squadra di lavoro autorevole, comunicherà la sua visione in modo confuso, si concentrerà sui dettagli anziché sul disegno generale, si preoccuperà più di far rispettare le regole che di spiegare il principio a tutela del quale le regole sono state istituite, conferirà scarse responsabilità creando conflitti, gestirà le implementazioni con apprensione.
In altre parole: penserà più al presente che al futuro.
Ogni volta che mi sono ritrovato in un ambiente di lavoro conflittuale, era stato messo un manager nel ruolo di un leader. Che venga o meno razionalizzata, la paura di essere inadeguati al ruolo spinge la persona a gestire il gruppo proprio con la paura, tenendo gli altri a distanza per cercare di nascondere i propri errori.
Concentrarsi sul futuro è così importante che sono arrivato a credere che
i bravi leader abbiano in sé persino un piccolo (molto piccolo) complesso messianico, inteso come la presunzione di saper vedere un po’ più in là degli altri, oltre la collina, con il conseguente convincimento di doverli guidare in quella direzione. A volte, senza neanche conoscere con esattezza la strada da percorrere, ma con il dono di saper raccontare cosa hanno visto oltre quella collina.
Questo convincimento, che dovrebbe arrivare a fronte di capacità reali — ma purtroppo sappiamo come individui privi di empatia si autoconvincano spesso di dover governare quasi per diritto divino — risuona dentro al leader come un pungolo interiore che mette in secondo piano le esigenze personali e lo invita a puntare, uno dietro all’altro, a una serie di obiettivi comuni.
Questo senso di dovere verso il gruppo è necessario per affrontare le intrinseche sfide della leadership, tra le quali vedere ogni proprio errore sezionato pubblicamente e ogni singola decisione messa in discussione
Penso che questo sia particolarmente vero al progredire dell’intelligenza media del gruppo, che porta con sé un profondo spirito critico, mentre — da quanto ho avuto modo di osservare — gruppi con un livello intellettuale inferiore tendono ad affidarsi maggiormente al leader, arrivando anche a sviluppare un culto della sua personalità.
In ultima analisi, per quanto la seguente formulazione possa apparire cruda, alla leadership non importa particolarmente del presente in quanto mera conseguenza di decisioni e di forze che si sono espresse nel passato. Il presente è già successo.
Per un leader è importante quello che succederà tra uno, due o dieci anni e che però sta già succedendo in questo momento — se si vuole — nella sua mente.
Di Manuel Cuni
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