L’Intelligenza sostenibile

Come sopravvivere all’estinzione di massa e arrivare in tempo per l’ora di cena.

Mensa Italia
5 min readFeb 6, 2020

Definire e misurare l’intelligenza: una speculazione tanto interessante quanto complessa in merito alla quale non esistono ancora (così come per altre grandi questioni scientifiche e filosofiche) dei punti fermi intorno ai quali poter sviluppare una discussione che metta tutti d’accordo.

Lungi, dunque, dal voler fornire una definizione ecumenica di intelligenza o criticare le teorie finora elaborate sull’argomento, questo articolo cercherà di proporre degli spunti su questioni di attualità in merito alle quali l’intelligenza può e deve fare molto.

Questo a patto che con il termine “intelligenza” si intenda indicare quella capacità degli esseri viventi (ed in particolare dell’uomo) di “adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento” (cfr. vocabolario Treccani): in una parola, di sopravvivere.

Nel corso dei secoli la razza umana ha sfruttato varie forme di intelligenza (in combinazioni di volta in volta diverse) per primeggiare dapprima sulle altre specie poi sui propri simili. Ed è grazie all’intelligenza che l’uomo realizza costantemente la propria evoluzione (intesa anch’essa, in senso darwiniano, come capacità di adattamento all’ambiente e dunque di sopravvivenza). Un’evoluzione che al momento attuale sta procedendo ad un ritmo e con delle modalità che meritano quantomeno una riflessione. Una riflessione (è il caso di dirlo) intelligente, che sia capace cioè di leggere ed interpretare i segnali di stress ambientale e sociale, individuando non solo le cause di tale situazione ma anche, se possibile, le modalità con cui correggere un percorso che rischia di diventare involutivo anziché evolutivo.

Per chi non ha a che fare tutti i giorni con questioni legate allo sviluppo sostenibile, vale la pena proporre in questa sede la definizione forse maggiormente condivisa di questo concetto data nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite che definisce lo sviluppo sostenibile come: “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Ancora una volta è possibile cogliere in queste poche parole l’esigenza di garantire la sopravvivenza della specie umana attraverso un’evoluzione ragionata e a suo modo consapevole. E in questo contesto l’intelligenza (o, se preferite, un approccio sostenibilmente intelligente) gioca un ruolo fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo ultimo dell’intera umanità.

Ciò che l’intelligenza può fare in questo frangente è comprendere la sostenibilità di un certo approccio evolutivo per governarlo ed indirizzarlo. Per questo motivo definirei questa particolare forma di intelligenza come “intelligenza sostenibile”.

Che cosa dunque caratterizza l’intelligenza sostenibile rispetto alle altre forme di intelligenza di cui fino ad ora avrete sentito parlare?

Anzitutto, l’intelligenza sostenibile è una forma d’intelligenza basata su valutazioni di lungo termine. Non si limita a risolvere i problemi contingenti, ma valuta anche (e soprattutto) gli impatti che tali soluzioni potrebbero avere rispetto a scenari futuri in cui nuovi — e forse peggiori — problemi potrebbero derivare dall’adozione al tempo presente di soluzioni non sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Gli esempi in questo senso di scelte che nel lungo termine non si sono dimostrate sostenibili abbondano. Una su tutte: l’adozione su larga scala di combustibili fossili. Nell’immediato (qualche secolo fa) avevamo trovato il propellente migliore in termini di performance e di costi per alimentare motori che avrebbero sostituito la forza delle braccia e degli animali centuplicando potenza e risultati delle azioni umane. Ma a quale costo nel lungo termine? Le problematiche ambientali ed i conflitti socio-economici legati all’estrazione ed all’utilizzo del carbone e del petrolio a distanza di poco più di due secoli sono sotto gli occhi di tutti e, cosa peggiore, ci stiamo ormai inesorabilmente avvicinando ad un punto di non ritorno che renderebbe vano qualsiasi tentativo di porvi rimedio. Come è stato possibile arrivare a questo punto dopo così tanto tempo senza ancora aver presente non tanto le soluzioni quanto l’entità stessa del problema? Il mancato uso dell’intelligenza sostenibile potrebbe in parte spiegare tutto questo.

L’intelligenza sostenibile è poi una forma d’intelligenza sociale basata sull’interdisciplinarietà e la condivisione. Non è il frutto del pensiero luminoso di un singolo imposto alle masse ma la presa di coscienza di una collettività che agisce consapevolmente sulla base di informazioni che vengono costantemente prodotte e scambiate.

L’affermazione delle moderne tecnologie informatiche ha in questo senso favorito lo sviluppo dell’intelligenza sostenibile che più di altre forme di intelligenza ha bisogno di input per produrre output di qualità. Evidenze scientifiche ma non solo: anche monitoraggio costante dei fenomeni ambientali e sociali di interesse oltre che condivisione delle esperienze locali per una successiva applicazione su scala globale.

In quanto intelligenza sociale l’intelligenza sostenibile ha come fine ultimo la preservazione della specie e non di un suo singolo esemplare. Il pensare alle generazioni future nella formulazione di un giudizio di sostenibilità implica pensare alla preservazione della razza umana. Da ciò deriva che i comportamenti dei singoli individui, se non correttamente collocati in una cornice sistemica più ampia, rischiano spesso e volentieri di diventare delle sub-ottimizzazioni che portano vantaggi solo nel breve termine e ad un gruppo molto ristretto di persone. Ecco dunque che un comportamento di per sé intelligente rischia di diventare agli occhi dell’intelligenza sostenibile un’azione stupida e sconsiderata. Ed ecco perché pensare che il perseguimento della felicità o del benessere del singolo individuo possa guidare in qualche modo al migliore dei mondi possibili (così come una certa branca della teoria economica di stampo anglo-sassone — quella ancora oggi prevalente — ha da sempre ipotizzato) potrebbe non essere il modello da seguire per fornire un giudizio di efficacia e di efficienza dell’agire umano.

Infine, l’intelligenza sostenibile è una forma d’intelligenza pervasiva. Affinché possa funzionare è necessario non solo che la maggior parte degli individui (come abbiamo detto pocanzi) sia sostenibilmente intelligente, ma che tale intelligenza venga applicata in tutte le situazioni ordinarie e straordinarie in cui un individuo o un gruppo di individui viene posto di fronte ad una scelta che implica un’azione. L’idea che il proprio contributo alla soluzione delle questioni globali sia infimo e insignificante mina alla base le potenzialità dell’intelligenza sostenibile, che proprio come tutte le altre forme di intelligenza deve essere “allenata” ogni giorno da tutti per poter produrre risultati significativi. A tale proposito vi suggerisco di dare un’occhiata a questo piccolo vademecum dal titolo altisonante “The Lazy Person’s Guide to Saving the World” creato dalle Nazioni Unite per sensibilizzare la popolazione sull’importanza di un’azione coordinata e condivisa verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile: https://www.un.org/sustainabledevelopment/takeaction/

La buona notizia insomma è che per agire in un modo sostenibilmente intelligente non bisogna essere posizionati sulla coda della famigerata gaussiana del Q.I. “tradizionale”. Quella meno buona, forse, è che quando si parla di sviluppo sostenibile convertire gli “stupidi” diventa la vera priorità.

Una sola persona intelligente, anche se geniale, non può fare la differenza in questa battaglia per la sopravvivenza.

di Alessandro Mantini

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