La libertà nel mondo videoludico: realtà o illusione?

«Would you kindly?»

Mensa Italia
7 min readAug 1, 2020

Da sempre il mondo dei videogiochi è per molte persone una temporanea oasi di libertà, un riparo dalle difficoltà quotidiane, dai vincoli cui siamo naturalmente costretti da circostanze che non dipendono da noi, dalle delusioni che si incontrano nel mondo esterno.

Il videogioco è uno strumento che ci dà l’occasione, e soprattutto la libertà, di essere protagonisti. Si tratta di una libertà legata alla fantasia, ma che dà la possibilità di visualizzare alcune situazioni che più volte abbiamo raffigurato solo nella nostra mente: essere l’eroe che salva il mondo, essere una persona ricca e potente, essere benevolenti in modo gratuito (esempio classico da gioco di ruolo: «Messere, grazie per aver salvato mia figlia dal dragone! Non so come ricompensarla, tenga questi 1000 scellini». «Si figuri buon uomo, quei soldi servono molto più a lei che a me, la mia ricompensa è stata già aiutare un uomo di buon cuore come lei»).

Il videogioco, dunque, è quasi sempre una promessa di libertà: “Caro videogiocatore”, dice, “qui dentro potrai fare quello che ti pare, e questo ti farà stare bene. Qui dentro sei il più importante in assoluto e sta solo a te decidere come comportarti”.

Ma è davvero così?

Nel 2007 2K Games pubblica un gioco che in poco tempo assurge a icona del mondo videoludico: BioShock. Questo gioco è una iterazione del classico sparatutto in prima persona, con obiettivi abbastanza definiti ma raggiungibili in vario modo (normalmente quello preferito è sparare e devastare tutto) e con una narrativa ambientale molto solida, ma quasi interamente opzionale, visto che essa è relegata all’80% a diari audio più o meno nascosti in giro per la immaginifica ambientazione distopica di Rapture, una città sul fondo dell’oceano negli USA di fine anni ’50.

Fondamentalmente, il gioco deposita il protagonista in una città sconosciuta, a cui arriva in seguito a un incidente aereo, e le informazioni di base sono: qui sembra non esserci nessuno, mi sa tanto che se vuoi tornare in superficie dovresti esplorare un po’ e difenderti se ti attaccano. Che ne dici, ti va di farlo?

Ti va di farlo? Cortesemente, potresti?

(È complesso rendere in italiano la traduzione esatta, ovvero con le sottese sfaccettature di intenzione, della frase “Would you kindly?”. Possiamo comunque ritenere che “Cortesemente, potresti?” sia un’adeguata approssimazione).

Ecco, è qui che BioShock (oltre a celare il plot twist che nel 2007 lasciò a bocca aperta buona parte dell’universo videoludico) realizza il proprio colpo di genio e apre un interrogativo tra il meta e l’inquietante rispetto a ciò che davvero offre un videogioco.

Ma facciamo un passo indietro e recuperiamo il nostro protagonista appena arrivato a Rapture. Jack, questo il suo nome, si trova a essere contattato dopo poco tempo via radio da Atlas, l’apparentemente benintenzionato leader della rivoluzione che si è scatenata a Rapture, dopo che il parossismo oggettivistico del fondatore Andrew Ryan ha gettato le basi per una irrimediabile lotta di classe. Ryan ha infatti fondato Rapture secondo l’idea che ogni uomo abbia diritto di godere appieno dei frutti del suo lavoro e non debba esserci nessuno Stato, o simile realtà, che intervenga limitandone la libertà personale. Non è difficile intuire che questa utopia abbia vita breve, e che nel giro di pochi anni i ricchi di Rapture vengano visti sempre peggio dai meno abbienti e questi ultimi, apparentemente impossibilitati a far valere i propri diritti, si organizzino sotto l’egida del summenzionato Atlas per sovvertire l’ordine sociale costituito.

Proprio questo Atlas chiede l’aiuto di Jack, il nostro protagonista, nel consentire alle povere anime sottoposte alla tirannia economica (e fisica, considerando che le rivolte vengono sedate nel sangue) di ribellarsi a Andrew Ryan. Pian piano il giocatore, spinto dal tradizionale desiderio di rovesciare il tiranno e difendere i deboli, scopre le crudeltà di cui è capace Ryan, tra cui addirittura far saltare in aria (o meglio, in acqua) il sottomarino in cui erano alloggiati moglie e figlio di Atlas.

Per mettere fine una volta per tutte al predominio distorto di Ryan su Rapture e sui suoi poveri cittadini, il giocatore segue i consigli di Atlas e arriva fino alle stanze di Ryan.

(Questo è il momento in cui vi concedo la libertà di saltare direttamente al prossimo contributo con un congruo SPOILER ALERT, anche se il gioco è di 13 anni fa e ho il sospetto che abbiate già ampiamente esercitato la libertà di scegliere di giocarci se vi interessava farlo).

Arrivato nello studio privato di Ryan, il giocatore scopre che il fondatore di Rapture lo sta aspettando, giocando pacificamente a golf come da tradizione dei tycoon americani. Dietro di lui, un diagramma fatto di varie fotografie, appunti e una scritta enorme al centro: “Would you kindly?”. Per l’appunto, “Potresti cortesemente?”.

È allora che Jack, ma soprattutto il giocatore stesso, realizza che tutti i suggerimenti principali di Atlas contenevano quella frase.

«Would you kindly activate that plat-form?» (“Potresti cortesemente andare ad attivare quella piattaforma?”)

«Would you kindly go to that sub and make sure that my wife and my son are safe?» (“Potresti cortesemente recarti a verificare che mia moglie e mio figlio stiano bene nel sottomarino?”)

E numerose altre, fino a:

«Would you kindly go kill Andrew Ryan, that son of a bitch?» (“Potresti cortesemente andare a uccidere quel figlio di buona donna di Andrew Ryan?”)

(Nota: qui è esattamente dove si perde una sfumatura di “Would you kindly?”.

Leggere le frasi precedenti in italiano suggerisce una nutrita forma di comportamento passivo-aggressivo in chi le proferisce, conferendo loro una certa innaturalezza; in inglese, invece, le frasi suonano molto naturali, ben poco servili e genuinamente cordiali — tranne l’ultima, ma anche quella è coerente in inglese, tradendo solo un po’ di frustrazione da parte di Atlas).

Si scopre infatti in questo momento che Jack non è precipitato a Rapture per caso. Jack è sempre stato una pedina fondamentale per il piano di Atlas (che in realtà è il boss principale della malavita locale, il dato per morto Frank Fontaine, arcinemico di Ryan fino alla sua sparizione due anni prima) ed è stato appositamente condizionato psicologicamente a eseguire qualunque ordine dopo il trigger verbale “Would you kindly?”. Ryan stesso è stato ingannato dalla ragione della presenza di Jack a Rapture fino a pochi minuti prima del suo arrivo nello studio, ma quando Jack mette piede all’interno, ha già capito tutto ed è proprio lui a spiegare l’arcano. Al fine di dimostrare la veridicità di questa spiegazione, Ryan dice a Jack:

«Would you kindly… Run? Stop? Turn?» (“Potresti cortesemente… Correre? Fermarti? Girarti?”) e Jack obbedisce a tutte queste istruzioni. Infine, Ryan consegna a Jack la sua mazza da golf e, sempre sulla scorta del «Would you kindly…», gli dice «Kill» (“Potresti cortesemente… Uccidere”).

In questo momento il gioco rivela la sua vera natura, come la natura di una miriade di altri videogiochi: per la prima volta nel corso di tutto il gioco, il controllo viene tolto dalle mani del giocatore, che si trova a non poter opporre alcuno sforzo alla scena in cui Jack uccide effettivamente Ryan con la sua mazza da golf, mentre quest’ultimo urla «A man chooses, a slave obeys!», ovvero “Un uomo sceglie, uno schiavo obbedisce!”.

È difficile dire quale sia il colpo più duro inferto da questa scena (oltre a quello dato a Ryan con la mazza, ovviamente).

Da un lato, tutta la trama improvvisamente assume un significato completamente diverso e si rimane a bocca aperta e mascella lussata, esattamente come nella scena finale de I soliti sospetti.

Dall’altro, il colpo durissimo arriva al giocatore.

“Ciao, sono il tuo videogioco. Potresti cortesemente spingere A per andare al menu? Potresti cortesemente spingere B per sparare? Potresti cortesemente seguire pedissequamente le missioni che ti vengono date di volta in volta? Potresti cortesemente fare tutto quello che ti dico?”

E così, come un navigato illusionista, con un semplice gesto il gioco — puff — fa scomparire la promessa di libertà e la trasforma in ciò che veramente è: la promessa di un’illusione.

A man chooses. A player obeys.

Capiamoci, non c’è niente di male nel fatto che il videogioco ci porti per mano un po’ dove vuole lui. Alla fine della fiera, da un videogioco vogliamo intrattenimento, vogliamo svago, a volte vogliamo potere, a volte vogliamo battere la Juventus con la nostra squadra di Master League con il mitico tridente Castolo-Minanda-Njorgo.

Posso però dire, da avido videogiocatore, che mai come in quel momento del giugno 2008 in cui sono entrato nello studio di Ryan, ho realizzato che non esiste vera libertà all’interno del mondo dell’intrattenimento e che siamo pur sempre schiavi del genio creativo di qualcun altro. Certo, ci sono forme molto meno piacevoli di schiavitù, ma un uomo difficilmente potrà essere libero all’interno di un costrutto artificiale. E questo, a parer mio, è sottilmente inquietante, una volta che se ne è acquisita consapevolezza.

Se vogliamo essere liberi, dobbiamo esserlo per noi stessi, nella nostra testa in primis e nel mondo reale di conseguenza.

Il resto è una gradevole e a volte necessaria valvola di sfogo.

Di Simone Ferrari

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