La calma è la virtù dei calmi

“Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta.”

Mensa Italia
5 min readMar 24, 2021

Rosso. Il colore dell’amore ma anche della rabbia. Infatti nel film Inside Out Anger è rosso fiammante così come nel deplorevole “spettacolo” chiamato corrida, un gruppetto di damerini strizzati in sgargianti e ridicoli costumi sventola un drappo rosso per provocare lo sfortunato toro prima di torturarlo e ucciderlo.

Si tratta però solo di una convenzione culturale: il drappo potrebbe essere verde, o persino rosa, perché i tori non vedono i colori, ma sono irritati solo dal movimento.

Dalle convenzioni culturali alle emozioni grezze il passo è lungo. Negli esseri umani i fattori scatenanti la rabbia non comprendono normalmente lo sventolio di un drappo, ma possono essere ricondotti a due gruppi:

• aspettative deluse

• impossibilità di raggiungere scopi prefissati

Semplificando, la frustrazione scatena l’ira. Volgarizzando, “la frustrazione è la madre di ogni incazzatura”. Ma se la frustrazione è femmina, come mai le donne iraconde hanno sempre goduto di pessima fama, già da ben prima dell’avvento del cristianesimo e del porgere l’altra guancia?

Per inclinazione naturale, imposizione sociale o un mix delle due, praticamente ogni cultura richiedeva che le donne reprimessero l’ira, aderendo a modelli di dolcezza e comprensione. Se l’ira maschile era accettabile e persino ammirabile, quando rivolta pubblicamente a raddrizzare un torto o scatenata da un ideale, quella femminile in genere era contenuta all’interno dell’ambito familiare e tollerata nell’unico caso dell’ira materna a protezione dei figli.

Per il resto le femmine iraconde erano divise in due grandi categorie di natura relazionale:

• le respinte

• le tradite

Tuttavia, per essere respinte si presuppone che le signore si fossero proposte, perdendo quindi in femminilità e dignità. La sfacciataggine fa molto “donna che se la va a cercare” e genera poca simpatia; la cornificazione invece suscita maggiore empatia.

Qualunque fosse il fattore scatenante l’ira, mancando di potere fisico ed economico, se una signora perdeva le staffe aveva a disposizione ben poco per mitigare la frustrazione. Gli strumenti preferiti erano il veleno, alla portata di poche (Lucrezia Borgia docet, anche se pare che la fama di avvelenatrice sia solo denigrazione maschile) e una lingua tagliente, alla portata di tutte ma dagli scarsi risultati e deprecata da Santippe in poi.

Le cose sono cambiate parecchio in poco più di un secolo. Dalla maldicenza, prima forma di aggressione disorganizzata, individuale e passiva, l’ira femminile organizzata e militante è entrata nelle cronache con le suffragette. Nonostante fossero oggetto di derisione e compassione, le suffragette riuscirono nel loro scopo, seppure molto lentamente, aprendo la via a una valanga di rabbia, collettiva e individuale.

La forma individuale continua a imperversare nella versione rimodernata e nota con la definizione inglese di (atteggiamento) passive aggressive, sebbene questa definizione sia una contraddizione in termini. Poche emozioni come l’ira suggeriscono azione, magari eccessiva, deleteria e persino forsennata, ma pur sempre febbrile attività.

Invece, il passive aggressive presuppone il presentarsi come vittime per pretendere rivalsa contro l’offensore.

In un’epoca di vittimismo imperante, il passive aggressive ha attecchito e prosperato molto velocemente, grazie anche a Mia Farrow e Diana Spencer, due donzelle bionde, belle e di gentil aspetto, ma d’animo non altrettanto gentile.

Tradite per rivali considerate di avvenenza inferiore (quindi unendo la beffa al danno), le due resero pubblico il loro iracondo dolore, pretendendo e ottenendo l’ostracismo dei maschi che le avevano insultate e suscitando simpatia planetaria.

Dopo il trionfo di Mia e Diana, si è vista una crescita esponenziale della celebrazione della rabbia, maschile ma soprattutto femminile. Ormai il genere impera, dai talk show ai social al cinema.

In Three billboards outside Ebbings la protagonista è Mildred, una donna di mezz’età, bassa estrazione e minima scolarità, ma dotata di un vocabolario scurrile premiato dall’approvazione del pubblico. Il film si apre con tre cartelloni rossi voluti da Mildred per chiedere, in modo aggressivo, risposte sull’indagine dell’omicidio della figlia Angela.

Tuttavia nell’unica scena di Mildred con Angela, assistiamo a un violento scambio di insulti, che lascia immaginare un rapporto quanto meno conflittuale, e che termina con una furibonda Mildred che augura ad Angela di essere stuprata. Chi non vorrebbe una mamma come Mildred?

Eppure Three billboards ha spopolato, nonostante la protagonista sia sgradevole, se non decisamente odiosa.

Senza dilungarsi sulla banalità del film (Mildred è una “madre” la cui ira è giustificata a priori; il dramma personale è una scusa per lanciare la solita crociata liberal, tanto cara ad Hollywood), ci si potrebbe chiedere se plaudere alle manifestazioni di rabbia sia un fenomeno positivo.

Ad esempio, il tanto strombazzato #MeToo, nato e organizzato intorno alla rabbia, peraltro legittima, di un gruppo di attrici, sembra aver concluso assai poco. Ricerche e interviste condotte nel 2019, a due anni dalla nascita di questo cosiddetto movimento, mostrano un generale scetticismo e disappunto sui risultati concreti.

L’Harvard Business Review, nell’articolo The #MeToo backlash, riporta che gli uomini, cercando di evitare situazioni potenzialmente compromettenti, sono maggiormente restii ad assumere donne attraenti e a convocare colleghe per riunioni di lavoro. Addirittura si parla della “regola Mike Pence”, l’ex vice presidente U.S.A. che rifiuta di uscire a cena con colleghe senza sua moglie.

In quella stessa Hollywood che promuove tolleranza e supporto per LGBT e BLM, dopo la ridicola protesta delle attrici vestite in nero e la caduta di Weinstein, si è aperta una virulenta caccia alle streghe che ha decimato i ranghi maschili anche per minime indiscrezioni avvenute in un passato remoto. Le sostenitrici di #MeToo offrono risposte vaghe sui progressi della loro crociata, che sembra essersi esaurita in rigagnoli di vendette private.

Le contraddizioni di una società che inneggia alla tolleranza, ma anche alla sublimazione dell’ira, producono dissonanza cognitiva che genera frustrazione, e si sa cosa produce la frustrazione.

È quindi possibile che il risultato della pressione sociale sia di maligna soddisfazione quando qualcuno reagisce con violenza ai problemi della vita, anche se solo nella finzione.

Forse applaudiamo Mildred, Jules e ogni iraconda creatura che liquida lo scocciatore di turno with great vengeance and furious anger, perché anche noi vorremmo tanto farlo, ma sappiamo che sarà impossibile.

Di Daniela R. Giusti

QUID è la rivista digitale del Mensa Italia, l’associazione ad alto Q.I., che raccoglie le competenze e le prospettive personali dei Soci, organizzandole in volumi monografici.

Scaricabile gratuitamente da
QUI.

QUID nasce con l’ambizione di confrontarsi senza voler ricomporre a tutti i costi un pensiero rappresentativo e prevalente, per proporre una lettura sempre aperta dei temi che stanno a cuore ai Soci del Mensa Italia

--

--

Mensa Italia

Il Mensa è un’associazione internazionale senza scopo di lucro di cui possono essere soci coloro che hanno raggiunto o superato il 98º percentile del Q.I.