In realtà Harry Potter muore
Una riflessione su senso, tempo e romanzi ossessivi.

J. K. Rowling non è certo una che affida al caso le cose. Quando ha scritto Harry Potter non ha solo dotato circa due o tre generazioni di un potentissimo meccanismo di identificazione, ha anche messo al mondo uno dei più grandi mostri di ossessione del controllo, paragonabile per certi versi alla Divina Commedia dantesca. Il giovane Harry, infatti, nasce, cresce, avventura dopo avventura, e attraversa un insieme di prove che la sua invisibile madre ha architettato in maniera estremamente precisa. Nulla di ciò che gli accade ha luogo fuori dal programma, tutto è stato progettato prima della scrittura in un grande schema, la cui sinossi svela la morale della favola, l’insegnamento, il senso della vita di Harry. Quindi, nella versione della Rowling il senso della vita sta nella scoperta del disegno intenzionale che le nostre scelte attualizzano.
Spesso le nostre biografie assomigliano a un lungo e dettagliato romanzo di formazione ed è questo a renderle così vuote e insensate, addirittura noiose.
Nel raccontare chi siamo, ci raffiguriamo come gli eroi che rompono il sigillo di un divieto (“Nessuno pensava che ce l’avrei fatta, e invece…”), che abbandonano la tranquillità per intraprendere un lungo viaggio (“Ne ho viste di cose…”), che lottano col drago (“Questa volta volevo vincere”) e alla fine… ecco, alla fine cosa succede?
Quando incontriamo un cartello che indica “senso unico”, ci chiediamo mai cosa voglia dire “senso” in quel senso? Se ci fermiamo un attimo a pensarci, potremmo rimanere disorientati dallo scoprire che quell’uso particolare di “senso” può indicare il significato di una parola, come nel Canto XII dell’Inferno di Dante:
Queste parole di colore oscuro
Vid’io scritto al sommo di una porta;
Perch’io: maestro, il senso lor m’è duro
oppure la direzione di una via. Interrogarsi sul senso della vita potrebbe quindi portare alla domanda: dove siamo diretti? Il che è quantomeno bizzarro, visto che la risposta a un simile interrogativo è chiara, certa (no, non è 42), ma al tempo stesso paradossale: il senso della vita sta nella sua negazione. E questo, in generale, non piace molto ai filosofi.

La direzione del tempo è una e, assumendo che la vita si muova in una sola direzione e che quello sia il suo unico senso, un primo problema che sorge è in termini di orientamento: perché quando si parla di esistenza il tempo è del tutto staccato dallo spazio, e, mentre il tempo delle scelte è lineare, lo spazio delle possibilità è un campo aperto?
Noi scegliamo in continuazione: come vestirci, che riflette la nostra disponibilità ad adattarci ai nostri compiti quotidiani; se alzarci o meno dal letto e andare al lavoro o darci malati; importantissimo in questo periodo, decidiamo se indossare o meno la mascherina per strada o se assumerci il rischio di stare senza. Ci sono poi anche scelte più ampie, per esempio se pagare o meno i nostri debiti, se tradire il partner o la partner, se avere figli… Le nostre scelte sono un campo vettoriale molto denso e il loro senso, la loro direzione, nasce nel momento stesso in cui vengono compiute.
Secondo la Image Theory ogni scelta nasce da una simultaneità di immagini del futuro e del possibile: una prima immagine è costituita dai principi, che delimitano lo spazio degli obiettivi perseguibili e si comportano come imperativi morali, a carattere prescrittivo ma anche generativo, nel senso che è nello spazio dei principi che nascono possibili obiettivi candidati. La seconda immagine è rappresentata dalla traiettoria, cioè dall’anticipazione dei risultati derivanti dalla scelta di un corso di azioni, una facoltà che poggia sulle nostre esperienze passate, sui nostri livelli di aspirazione, ma anche sulla nostra autostima: è risaputo che si ritengono più passabili di successo coloro che godono di una maggiore stima di sé. La terza immagine, infine, è la strategia, il confronto tra piani d’azione possibili all’interno di una medesima traiettoria, a sua volta composta da tattiche, cioè azioni specifiche.
La prospettiva temporale, l’anticipazione del futuro, è cruciale nel determinare un corso di azioni, ma la cosa interessante è che, di fatto, il futuro non può accadere ora, per cui appare in forma di immagine come punto del presente. Ma allora che senso ha una vita, una scelta, un piano d’azione? La verità è che lo si scopre solo alla fine, perché è quando siamo posti di fronte al risultato che possiamo ricostruire il senso di tutti i passaggi intermedi, delle svolte narrative; è solo alla fine che selezioniamo gli eventi significativi e scartiamo gli altri in quanto accidentali. È qui che direzione e senso arrivano a coincidere per davvero.
Insomma, fino all’ultimo non sappiamo davvero se Harry Potter vive ed è solo quando effettivamente sopravvive che possiamo dire “lo sapevo” o “ha senso”; fino a quel momento di senso non ce n’è, c’è invece un accumularsi di eventi insensati, caotici, di fronte ai quali nessuno, neppure la Rowling, può davvero dire che piega prenderà il tutto. Insomma, per dirla in termini matematici, la vita tende a integrare più di quanto non tenda a derivare.
Per questo ha senso lasciar scorrere e aspettare quel punto che possiamo definire di svolta, e accettare come sia questo il senso della vita, ovvero:
Di Armando Toscano

QUID è la rivista digitale del Mensa Italia, l’associazione ad alto Q.I., che raccoglie le competenze e le prospettive personali dei Soci, organizzandole in volumi monografici.
Scaricabile gratuitamente da
QUI.
QUID nasce con l’ambizione di confrontarsi senza voler ricomporre a tutti i costi un pensiero rappresentativo e prevalente, per proporre una lettura sempre aperta dei temi che stanno a cuore ai Soci del Mensa Italia