Il senso nell’eterno

Come l’arte può aiutarci a non morire.

Mensa Italia
4 min readJul 12, 2021

“Spesso il male di vivere ho incontrato” scriveva Eugenio Montale in Ossi di seppia (1924). Quel nodo alla gola, che stringe anche nelle giornate apparentemente serene, tranquille, nelle quali abbiamo tempo da dedicare a noi stessi e ci ritroviamo a pensare alla piega che sta prendendo la nostra vita. Quegli istanti mostruosi, in cui risuona nella nostra testa, terribile, una domanda: perché? Qual è il senso di tutto questo? Qual è lo scopo della mia esistenza? Considerato che fra non molti anni polvere ritornerò e niente di me resterà, perché dovrei affannarmi e conformarmi, diventare come gli altri vorrebbero che io fossi?

Ed è proprio a questo punto che mi sovvien l’eterno. Niente di religioso, per carità. E, insieme all’eternità, Leonardo da Vinci, immortale, che a cavallo fra il 1400 e il 1500 affermava: “Un bel corpo perisce ma un’opera d’arte non muore mai”. Qui è la risposta, qui l’indicazione giusta riguardo a come dovrei agire per dare un significato alla mia esistenza, per non farla cessare, per tramandare qualcosa di importante: me stesso.

La valenza eterna dell’arte è un tema letterario ricorrente, un topos che si concretizza nell’intenzione di lasciare ai posteri, come eredità veicolata attraverso la propria opera, un’immagine di sé definita dalle proprie parole, voce scritta capace di diffondersi con eco immortale in un cronotopo infinito.

Possiamo trovare le prime attestazioni di questa intenzione all’interno dell’epos omerico (Iliade, VI secolo a.C.), nel quale l’autore ha eternato le gesta di Achille e grazie al quale ha reso immortale anche il proprio nome (per quanto discussa sia la reale esistenza di Omero). Due valenze diverse, complementari in alcuni casi, sicuramente da non confondersi.

Eternare ci rimanda a quanto affermato da Ugo Foscolo nella parte finale del carme Dei Sepolcri (1807), in cui viene sottolineato il valore della poesia, capace di rendere eterne le virtù degli esseri umani in maniera più efficace rispetto a quanto possano farlo le tombe, poiché la poesia si fissa nella memoria e non si distrugge con il passare del tempo. Saranno le Muse della poesia a custodire i sepolcri, vegliandoli attraverso un canto che non permetterà ai secoli di ricoprirli di silenzio e incuria. Ed è proprio in questo luogo poetico che troviamo ancora menzionato Achille, le cui armi vengono riportate dal mare sulla tomba di Aiace, ponendo così rimedio all’inganno di Ulisse: la morte rende giustizia, così come la poesia.

Seguendo il filo rosso della mitologia greco-romana, incontriamo Virgilio, intento a condurre Dante Alighieri fra i gironi dell’inferno: nel canto I dell’Inferno (1314) si è presentato a Dante ricordando proprio la sua autorialità, l’essere cantore dell’Eneide, opera idealmente figlia dell’Iliade omerica. Ma tempus fugit, e allora, in particolare, fermiamoci al canto XV, quando l’eternare cambia la propria diatesi in riflessiva: il punto è ora eternarsi, acquisire fama durevole nel tempo e nello spazio. Rivolgendosi a Brunetto Latini, Dante afferma: “Quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l’uom s’etterna”, cioè come l’uomo può sciogliere i propri vincoli terreni e diventare capace di immortalità attraverso le proprie opere, meritando quindi tale sorte (ed è in questo senso che dobbiamo spiegarci la presenza di Brunetto Latini nel girone riservato ai sodomiti: si è spinto contro natura, oltre la propria mortalità).

E allora, probabilmente — non ce ne vogliano gli dèi, e nemmeno le donne, i cavallier, l’arme, gli amori — più che eternare diventa vitale eternarsi, assicurarsi un posto nel mondo anche quando lasceremo libero quello attualmente occupato dalla nostra carne. Sempre che, s’intende, le nostre opere non vengano travisate nel loro significato: arriveremmo perfino in tribunale, alle dispute dovute alle illecite riproduzioni di opere in contrasto ideologico con le volontà dell’autore, se saremo così fortunati da avere lasciato dopo di noi qualcuno desideroso di difendere la nostra memoria.

Ma anche questo è un compito da affidare alla nostra arte: fare in modo che, in ogni epoca, qualcuno si innamori di noi. Qualcuno magari così gentile da venire a portarci, ogni tanto, un fiore, o meglio, una scelta di fiori: un’antologia.

Di Massimiliano Bertelli

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