Il pesciolino di Einstein

Ognuno è un genio, ma… non giudicatelo.

Mensa Italia
5 min readFeb 6, 2020

Scrivere della e sull’intelligenza dischiude una ramificazione di idee e pensieri ed argomenti che spaziano dal sociale, allo storico, allo scientifico passando per la sua genealogia, toccando le neuroscienze con la sua grammatica e logica e tutti i fenomeni ad essa correlati. Ed anche se, mossi da compulsiva necessità d’ordine e rassetto, volessimo partire dall’origine del termine, subito la nostra esegesi si troverebbe dinnanzi ad un primo quesito.

L’intelligenza con le sue variopinte dimensioni, è una dote innata, una skill acquisita od entrambe? Una mente brillante è il frutto di un genio congenito o si può sviluppare grazie a strumenti specifici? Ed il contesto quanto contribuisce in questo sviluppo? Natura o cultura?

Questo dibattito tra nature e nurture, nella definizione proposta da Galton (1883) è proseguito in psicologia con l’opposizione tra innatismo ed ambientalismo. Proviamo ad addentrarci; entriamo nell’antro di questa dicotomia.

Il primo, l’innatismo, ritiene che la dotazione genetica attivi condotte specie-specifiche comuni a tutti gli umani e che quindi sia alla base dello sviluppo dei soggetti e dei gruppi, ovunque essi si trovino. Secondo la teoria, quindi, lo sviluppo dell’individuo è completamente predeterminato. La storia individuale sarebbe una sorta di decorso naturale delle informazioni genetiche del genoma ed il corredo genetico svolgerebbe dunque una funzione normativa a prescrittiva nello sviluppo del soggetto. Il pioniere dell’innatismo fu Francis Galton, inglese, cugino di Charles Darwin, di famiglia quacchera, fortemente interessato al miglioramento della razza ed alla selezione di una élite intellettuale. Egli, che pose le fondamenta dell’eugenetica, possiede sicuramente il merito di essere stato il primo che approccio’ uno studio empirico di statistica applicata allo studio dell’ereditarietà (F. Galton, Hereditary genius, Londra, 1869).

Per contro l’ambientalismo pone in evidenza l’influenza determinante della cultura e dell’ambiente nel definire lo sviluppo dell’individuo in modo indipendente dalle sue predisposizioni e inclinazioni naturali, per cui l’esperienza è l’unico fattore che plasma lo sviluppo dell’individuo. La teoria fu sostenuta fra gli altri da Watson, psicologo comportamentalista (1924) e più recentemente dal costruzionismo sociale (von Glaserfeld, 1995). Watson riprese gli studi sui gemelli del succitato Galton pervenendo, però, a conclusioni opposte. Nella sua opera Behaviorism (1924) egli nega il peso delle attitudini innate promuovendo, invece, i processi di apprendimento. Il pensiero di Watson era altresì portatore di uno slancio democratico ed ottimista poiché teorizzava che l’ascesa sociale fosse possibile per chiunque avesse una formazione adeguata, perseveranza ed impegno.

È evidente come il contesto storico possa circoscrivere queste due teorie evidenziandone i successi e segnandone i limiti. Senz’altro il dibattito sulla questione “innato/appreso” è una questione sempre aperta e sempre affascinante ma di difficile soluzione.

Attualmente, grazie soprattutto agli studi di J. Piaget (non potevo non citare lui, il sempiterno Jean con la pipa incubo degli esami di psicologia dello sviluppo) sullo sviluppo dell’intelligenza nel bambino, si ritiene che ad innalzare o ad abbassare il rendimento intellettivo del bambino, possano contribuire sia i fattori genetici, sia i fattori ambientali. Piaget, psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero, si dedicò allo studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo. Lo studioso dimostrò che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all’ambiente sociale e fisico. Egli sostenne che i due processi caratterizzanti l’adattamento siano l’assimilazione e l’accomodamento e che si avvicendano durante l’intero sviluppo. Essi accompagnano tutto il percorso cognitivo della persona, flessibile e plastico in gioventù, più rigido con l’avanzare dell’età. Ciò che spinge la persona a formare strutture mentali sempre più complesse e organizzate lungo lo sviluppo cognitivo è la ricerca di un fattore d’equilibrio, un’omeostasi che porti al controllo del mondo esterno e dei suoi fattori interagenti con il nostro mondo individuatale.

A questo proposito sono state condotte molte ricerche di confronto tra gemelli, tra fratelli e tra bambini adottivi per cercare di stabilire effettivamente quanto possa influire l’ereditarietà e quanto l’ambiente.

Ad esempio una ricerca del 1973 condotta da Newman, F. N. Freeman e K. Holzinger su 19 coppie di gemelli identici allevati separatamente, 50 coppie di gemelli identici allevati insieme, 50 paia di gemelli dizigoti allevati insieme e 52 di fratelli (non gemelli) allevati insieme, ha analizzato le differenze tra le medie di alcuni caratteri antropometrici e psicologici. Questo storico lavoro ha dimostrato che per certi caratteri, quali la statura e il diametro cefalico, i geni hanno un peso determinante, e praticamente non influenzabile dalle condizioni ambientali. Mentre per altri, come il punteggio al test di Binet, l’effetto del diverso ambiente di vita può essere significativo in quanto le differenze nei due gruppi di gemelli identici non sono cosi pronunciate come quelle all’interno di coppie di gemelli dizigoti e fratelli.

La lezione che possiamo trarre dagli studi sui gemelli è che se è vero che buona parte delle caratteristiche umane sono per una parte considerevole influenzate in modo importante dai geni e che avere o non avere certi alleli può fare parecchia differenza sia in positivo che in negativo, è altrettanto evidente che, per molti altri caratteri, influenze di tipo ambientale sono in grado di condizionare l’espressione dei geni, in quanto gli stessi geni possono essere attivati, modulati o bloccati da segnali che provengono dall’esterno, in modo da sovrastare, compensare, modificare, o addirittura annullare, l’effetto positivo o negativo di quel determinato allele sul fenotipo.

Le capacità innate non si trasformano in intelligenza effettiva senza una stimolazione dall’ambiente, e perciò un ambiente privo di stimoli può inibirne lo sviluppo.

In sintesi, non esiste una natura umana astratta e indipendente dalla cultura poiché la cultura è il luogo indispensabile per colmare il divario fra le informazioni dei geni e ciò che dobbiamo sapere e fare per vivere.

Insomma, per citare Albert Einstein “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.

Natura e cultura non sono di per sé in antitesi ma possono considerarsi complementari. Ognuno di noi è unico ed irripetibile. Scovare i propri talenti può essere un’avventura affascinante e sorprendente ed un contesto nutritivo e stimolante può aiutarci ad espandere il nostro patrimonio “grigio” per ridefinirne e svilupparne sfumature e colori.

Il pesciolino di Einstein attrezzato di nozioni, picozza e ramponi, potrà scalare noccioli, baobab ed anche il Kilimanjaro.

Di Laura Seratoni

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