Il falso mito del cervello destro
Spesso si pensa che l’emisfero destro sia più creativo: un errore difficile da scrollarsi di dosso
A un certo punto si iniziò a pensare che la specializzazione emisferica, ossia quel principio per cui le funzioni dell’emisfero destro e sinistro del cervello sono differenti, arrivasse a coinvolgere anche aspetti della nostra personalità. Certo, la diffusione di idee a partire da ambiti scientifici fino al senso comune è sempre una buona cosa, e questo vale anche per le idee psicologiche; tuttavia non lo è quando nel passaggio si aggiungono dettagli, o se ne eliminano altri, oppure ancora vengono completamente distorti alcuni elementi. Si è visto, con il Coronavirus, quanto sia difficile per i non addetti ai lavori riuscire a comprendere il funzionamento di un micro-organismo parassita, invisibile a occhio nudo, senza far ricorso a principi di agency (“Il virus fa…”), concezioni metafisiche (“È la Natura del virus diventare…”), se non addirittura veri e propri mondi paranoidi che assumono la forma delle teorie del complotto.
Un errore comune mutuato dalla ricerca psicologica è il considerare i due emisferi cerebrali deputati a compiti differenti, tanto da avere quasi caratteristiche di personalità diverse: secondo questa visione il nostro cervello sarebbe composto dall’emisfero destro, creativo, e da quello sinistro, analitico. Sull’errore si è venuta a creare una proliferazione di falsi miti e di idee prive di fondamento empirico, e così un’interessante considerazione sulle differenze nel modo in cui individui diversi pensano è diventata la scusa per svilire il sapere psicologico.
Non esistono persone che imparano a pensare con l’emisfero destro e quindi sono creative, libere, innovative e brillanti, così come non ci sono persone che pensano prevalentemente con l’emisfero sinistro, mostrandosi così minuziose, logiche, astratte e fissate. Se conoscete persone del genere, molto probabilmente le loro caratteristiche dipendono dalla storia passata, dagli stimoli ricevuti, da aspetti della personalità, dai modelli culturali e dall’identità, ma non dall’emisfero prevalente.
Questa idea fallace è nata negli anni ’90, quando Torrance riprese il concetto di pensiero divergente del collega Guilford: con questa dicitura, gli psicologi statunitensi intendevano dichiarare l’esistenza di diversi stili cognitivi, divergente e convergente appunto, caratterizzati il primo da un approccio sintetico ai problemi, da una tendenza all’elaborazione simultanea delle informazioni, dalla rapidità nell’istituire relazioni tra concetti, il secondo da un approccio analitico, sequenziale e pianificato agli stimoli. L’indagine sugli stili cognitivi è piuttosto estesa, e ha portato autori diversi a presentare differenti dicotomie: associazione e bisociazione Jabri, assimilazione ed esplorazione Kaufmann, adattamento e innovazione Kirton, e così via; in questa moltitudine di terminologie, Torrance pensò di distinguere gli stili in destro (divergente) e sinistro (convergente). Sviluppò inoltre un test, il Torrance Test of Creativity Thinking (TTCT), per valutare quanto una persona seguisse uno stile divergente, e arrivò anche a verificare una correlazione tra stile destro/sinistro e le scelte lavorative future. In nessun caso tuttavia parlò di emisfero destro ed emisfero sinistro.
Qualificare i due emisferi come artistico e scientifico deriva soltanto dal senso comune, dal modo in cui si tende a riaggiustare concetti difficili attraverso immagini pescate dal repertorio culturale: l’idea contemporanea della contrapposizione tra sapere umanistico e sapere scientifico si è ben prestata a rappresentare quel suggestivo conflitto interiore che Torrance sembrava indicare, pur non avendolo mai davvero fatto.
Nel trasferire il sapere dal piano scientifico a quello popolare è impossibile attuare un semplice passaggio lineare; si tratta, piuttosto, di un lavoro di traduzione, il concetto deve venir reinventato all’interno di un nuovo universo culturale. L’immagine letteraria di dott. Jekyll e Mr. Hyde, quella mitologica del Giano Bifronte, fino a Quirinus Raptor, sono passaggi che evidenziano la presenza, nella nostra cultura, dell’idea che nell’essere umano possano esistere due diverse anime; ed è proprio su questa idea che si innesta la distinzione tra cervello destro e cervello sinistro.
I due emisferi presentano sì delle differenze funzionali e anatomiche: il sinistro ha un’area che il destro non ha, e sembra più specializzato a elaborare il linguaggio, mentre il destro tende a prediligere le elaborazioni visuo-spaziali. Secondo una interessante proposta in campo neuroscientifico, l’emisfero sinistro prediligerebbe la grana fine degli stimoli, soffermandosi sui dettagli, mentre il destro sarebbe più propenso a elaborarne le configurazioni globali. Purtroppo tutto questo rimane molto lontano dall’immaginario del geniale inventore, del buon selvaggio, dello spirito libero, che culturalmente è diventata la figurina dell’emisfero destro.
Probabilmente un sondaggio volto a scoprire quante persone ritengono che i due emisferi siano uno più creativo dell’altro produrrebbe risultati sorprendenti, anche tra gli psicologi stessi. Ma forse è questo il punto: nel lavoro di divulgazione non è sufficiente perseguire la strategia di semplificare i concetti della scienza; bisognerebbe tenere conto anche dell’attività ricostruttiva che il senso comune viene a operare, ossia il fatto che l’uomo qualunque riformula i concetti e li assimila ad altri, più semplici, che atavicamente abitano la nostra cultura. Per cui non prendiamocela con chi pensa che i gatti possano stare sospesi tra la vita e la morte dentro una scatola, o con chi ritiene che entrando in un buco nero tornerebbe giovane: è la grammatica del senso comune, e ci siamo dentro tutti.
Armando Toscano