Il carrello dei formaggi
La memoria è Camembert o Gruviera?
Nel famoso dipinto di Dalí del 1931 La Persistenza della Memoria , grandi orologi molli si sciolgono al sole.
All’epoca i critici d’arte si scatenarono dicendo che il dipinto era ispirato alla teoria della relatività e che gli orologi erano la rappresentazione surrealistica del collasso delle nostre idee di spazio e tempo. Venne anche scomodata la psicanalisi e gli orologi divennero i simboli onirici dell’impotenza umana di fronte al tempo che passa inesorabile.
Dalí replicò sardonicamente che per gli orologi si era ispirato a un Camembert che si stava sciogliendo perché dimenticato al sole.
Nonostante la provocazione dell’artista, il surrealismo esplorava effettivamente l’irrazionalità della società contemporanea, creando un contatto tra sogno e realtà, ma anche tra manipolazione inconscia dei ricordi e avvenimenti “reali”. Per amore di semplificazione, si considera la realtà come logicamente distinguibile dall’illusione, quindi gli avvenimenti realmente accaduti dovrebbero lasciare tracce indelebili e ben riconoscibili nella memoria, come un film che si può rivedere a piacimento, immutabile e perfetto nella sua riproduzione. La nozione romantica vuole addirittura che i ricordi siano “scolpiti nella memoria”, a indicare qualcosa di imperituro.
Ironicamente, la memoria funziona in maniera simile a una scultura erosa dalle intemperie: si sgretola, si modifica e lentamente svanisce.
L’erosione avviene perché non esiste un solo tipo di memoria, ma diversi processi mnemonici che funzionano in maniera indipendente. La memoria deve essere sufficientemente stabile, principalmente per permetterci di agire in maniera automatica nella vita quotidiana. Questa memoria “implicita” ci permette di ricordare cos’è un cacciavite e a cosa serve, senza dover ricorrere a lunghi processi mentali che iniziano con una piccola barra di metallo a cui viene aggiunta una parte di plastica per facilitarne l’impugnatura, e così via.
La stabilità ci permette anche di mantenere un (forse illusorio) senso della nostra identità, ricordandoci chi siamo (o chi pensiamo di essere) e come interagiamo con le persone che conosciamo. Il problema di svegliarsi una mattina senza ricordare chi siano le persone che abitano nella nostra casa è affascinante ed è stato esplorato molteplici volte nella narrativa scritta e cinematografica, perché legato al concetto di identità che è centrale nell’esistenza umana.
Oltre alla parte stabile della memoria ne esistono altre, tra cui una che si potrebbe definire flessibile, che ci permette di imparare cose nuove e una sensoriale, sottovalutata ma importantissima.
Immaginate di aver visitato un campo di lavanda con vostra madre quando eravate bambini. Anni dopo, vi capita di passare un weekend in Provenza e il profumo della lavanda scatena immediatamente ricordi di giorni lontani. Se vostra madre è nel frattempo deceduta, i ricordi potranno essere malinconici, mentre se è ancora viva forse saranno più consolatori e nostalgici.
In ogni caso, per riconoscere il colore della lavanda non dovrete risalire alla conoscenza dei colori primari, selezionare il rosso e il blu e ricordarvi che vanno mescolati per ottenere il viola, e nemmeno dovrete chiedervi cosa sono quelle strane spighe che ricordano il grano ma hanno un odore particolare.
Innumerevoli fattori sensoriali scatenano la produzione di ricordi e le nostre emozioni li modificano, separandoli in due grandi categorie approssimativamente definibili come “piacevoli” e “spiacevoli”. In questo modo riusciamo a nascondere, o addirittura a cancellare, quello che non ci era piaciuto nelle esperienze passate. Si scorda in maniera imperfetta ma abbastanza efficace da permetterci di scavare dei buchi nella memoria, creando il nostro Gruviera personale.
Dimenticare è relativamente facile, perché solo il potenziamento, ovvero la riproduzione conscia, permette di fissare nella memoria a lungo termine quello che viene temporaneamente immagazzinato nella memoria a breve termine.
Quando i ricordi ci disturbano in maniera insopportabile, il nostro cervello può decidere anche indipendentemente dalla nostra volontà di evitare il potenziamento oppure di seguire una falsa strada, creando una narrativa diversa. Superando in abilità persino la squadra di operatori dei sogni in Inception, ci impiantiamo autonomamente in testa l’idea che ci conviene o, più semplicemente, che ci fa soffrire meno.
Questo processo mentale spiega anche perché sia impossibile ricordare “tutto”. Principalmente perché la quantità di dettagli inutili creerebbe un sovraccarico di informazioni che rallenterebbe la nostra capacità di agire in maniera automatica e, in secondo luogo, perché a volte l’oblio ci aiuta a vivere meglio.
Dalí sarebbe stato contento di sapere che secondo recenti ricerche, uno dei cibi che creano più facilmente dipendenza è il formaggio, perché la concentrazione di caseina stimola gli stessi recettori dell’oppio. Oppure, sapere che la passione per il formaggio possa avere un legame logico con la ricerca del piacere lo avrebbe deluso e avrebbe annullato il suo interesse per il formaggio.
Volendo concludere con un’altra metafora casearia, si potrebbe dire che il cervello potrebbe anche essere paragonato a un blocco di burro da scolpire a piacimento e da conservare rigorosamente al fresco. Che sia Camembert, Gruviera o burro, l’importante è stare attenti a evitare squilibri termici. In altre parole “Do yourself a favour and keep cool”.
Di Daniela Giusti
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