Come vengono salvati i ricordi

Neuroscienze della memoria: dal Morbo di Alzheimer alla super-memoria

Mensa Italia
7 min readDec 27, 2020

I ricordi sono il centro della nostra individualità. Quello che ciascuno di noi ricorda è diverso da ciò che ricorda chiunque altro, anche nel caso si tratti di esperienze in comune. Comunque, ognuno di noi, a modo proprio, ricorda eventi, fatti, emozioni e sentimenti, a volte per un breve periodo di tempo, a volte per tutta la vita.

La memoria non è unitaria ma si possono distinguere tre tipi di memoria — sensoriale, a breve termine e a lungo termine — le quali coinvolgono aree cerebrali differenti. Generalmente, quando pensiamo alla parola “memoria” ci riferiamo alla memoria a lungo termine.

Quando leggiamo un libro o ascoltiamo una canzone, il processo di apprendimento e memorizzazione coinvolge l’attivazione di tutte le memorie, come rappresentato dallo schema sottostante.

Andando nello specifico: la lettura di un libro coinvolge l’attivazione della memoria sensoriale, la quale permette di riconoscere lo stimolo sensoriale per meno di 1 secondo, non più di un lampo. Questo brevissimo lasso di tempo è sufficiente per trasmettere l’informazione alla memoria a breve termine — molto simile alla RAM di un computer poiché volatile e con una capacità limitata. Le informazioni all’interno della memoria a breve termine sono vulnerabili e possono dissolversi se non avviene il processo di consolidamento — di fondamentale importanza per il passaggio dei ricordi alla memoria a lungo termine, paragonabile all’hard disk, sede dei nostri ricordi di infanzia e delle nostre conoscenze.

I ricordi sono ciò che siamo, ma creare ricordi è anche un processo biologico.

Quando impariamo qualcosa, anche semplice come il nome di qualcuno, formiamo connessioni, denominate sinapsi, tra i neuroni nel cervello. Queste diventano più forti o più deboli a seconda della frequenza con cui siamo esposti a un evento. Più siamo esposti a un’attività — come un pianista che pratica un brano centinaia di volte — più forti sono le connessioni; minore è l’esposizione, più debole è la connessione, motivo per cui è così difficile ricordare cose come i nomi delle persone dopo la prima presentazione.

I processi di memoria sono possibili grazie al concetto di plasticità cerebrale. Ogni evento della nostra vita produce delle modifiche alla struttura o alla funzione dei neuroni, sia temporaneamente che stabilmente. Gli eventi creano nuove sinapsi tra i neuroni, essenzialmente rimappando il cervello. L’enorme numero di connessioni possibili conferisce al cervello una flessibilità insondabile: ciascuna delle 100 miliardi di cellule nervose del cervello può avere 10.000 connessioni con altre cellule nervose.

La creazione di nuove sinapsi comincia da un processo fisiologico che, dalla singola comunicazione elettro-chimica tra i neuroni, conduce a processi neurobiologici, dati dall’attivazione di meccanismi di espressione genica.

Per capire come funziona il consolidamento mnestico — dunque dei ricordi all’interno della nostra memoria — è utile capire come funzionano le sinapsi del cervello. Queste possono essere pensate come un sistema che trasmette i segnali elettrici da un neurone all’altro, con l’aiuto di molecole chimiche denominate neurotrasmettitori. Quando dobbiamo memorizzare un discorso si attivano, ripetutamente e simultaneamente, grazie al passaggio di segnali elettrici, ampi gruppi di neuroni. Più viene ripetuto il discorso e maggiore sarà la frequenza di questi segnali elettrici. Questa alta frequenza di scambio di segnali elettrici comporta l’attivazione di specifici fattori di trascrizione cellulare, ovvero di proteine che hanno il compito di legarsi alle sequenze del DNA con lo scopo finale di produrre nuove proteine. Questa cascata di eventi, denominata potenziamento a lungo termine, grazie alla produzione di nuove proteine rafforza la connessione tra i neuroni e assicura agli esseri umani di ricordare le informazioni con maggiore facilità e precisione.

Ma perché in alcune condizioni, qualiubriachezza o Morbo di Alzheimer, non ricordiamo le informazioni? L’alcol una volta ingerito viene assorbito a livello dell’apparato digerente ed entra nel sangue, diffondendosi in tutto l’organismo. Attraverso il sangue l’alcol raggiunge anche il cervello e, su di esso, ha un effetto sedativo, proprio come i farmaci ansiolitici, rallentandone i processi. Di conseguenza, la frequenza dei segnali elettrici, fondamentale per la memorizzazione e l’attivazione dei fattori di trascrizione, rimane bassa, rendendo difficile il processo di consolidamento mnestico.

Quando siamo in uno stato di ubriachezza le informazioni rimangono a livello della memoria a breve termine, la quale è volatile e ha una durata di circa 30 secondi.

Uno dei primi sintomi nella fase iniziale del Morbo di Alzheimer è quello di non riuscire a ricordare le nuove informazioni, ad esempio dove è stata parcheggiata la macchina. Anche nel Morbo di Alzheimer sono compromessi i processi di consolidamento mnestico, a causa di diversi fattori che agiscono in sinergia. Uno di questi è rappresentato da aggregati proteici aberranti, denominati beta amiloide, che avvolgendo i neuroni non permettono la normale comunicazione elettrica tra di essi. Un’analogia utile per comprendere questo fenomeno può essere rappresentata da una persona che, mentre si reca a lavoro, non riesce ad arrivare a destinazione a causa di un incidente che crea un ingorgo sulla strada. Come nel caso dell’alcol, se i neuroni non possono scambiare tra di loro segnali elettrici a precise frequenze, il processo di consolidamento non avviene.

Tra i sintomi più tardivi della fase finale della malattia vi è la perdita delle informazioni significative, come l’incapacità di riconoscere i familiari, ma anche la perdita del linguaggio. Questi eventi sono la conseguenza dell’impossibilità del neurone di trasmettere gli impulsi nervosi. Quando il neurone è isolato dagli aggregati proteici di beta amiloide va incontro alla morte, con la conseguente perdita di ricordi e informazioni di fondamentale importanza per la vita quotidiana.

Se da un lato ci sono persone che dimenticano le informazioni, dall’altro esistono persone affette da ipermnesia, una condizione di super-memoria.

Alcune persone hanno abilità di memoria strabilianti; questi casi suggeriscono che le capacità della memoria umana possono essere incredibilmente ampie. Per esempio, l’artista inglese Stephen Wiltshire riusciva a disegnare panorami urbani giganteschi a memoria; il suo panorama urbano più complesso era un accurato disegno di 10 metri di Tokyo, che è stato capace di realizzare in sette giorni dopo aver sorvolato in elicottero la città per solo una mezz’ora. In rari casi di ipermnesia, una condizione conosciuta anche come memoria autobiografica superiore, ci sono persone che hanno memoria esplicita di quasi tutti i giorni. Queste persone ricordano ogni singolo evento della loro vita, addirittura come erano vestiti o cosa hanno fatto in uno specifico giorno di 10 anni fa, come nel caso del ricercatore statunitense Nima Veiseh.

Oggigiorno non ci sono studi sufficienti per capire come funziona il cervello delle persone con ipermnesia e, dunque, come differiscono nel salvare i ricordi. Sono state avanzate diverse ipotesi: in primo luogo che le persone con la super-memoria riescano a ricordare tutti gli eventi autobiografici grazie alla sinestesia, un fenomeno che permette di percepire una stimolazione sensoriale con due vie sensoriali, ad esempio l’ascolto di una canzone diventa un’esperienza non solo uditiva, ma anche olfattiva, dove determinate canzoni evocano uno specifico odore. Spesso le persone ipermnesiche sono molto sensibili a suoni, odori e dettagli visivi, particolari che permettono loro di rievocare più facilmente i ricordi del passato. Marcel Proust affermava che “l’odore e il sapore delle cose rimangono a lungo depositate, pronte a riemergere in qualsiasi momento”. Altre ipotesi hanno confermato che esistono alcune differenze nel connettoma [cfr. QUID 1, pag 6–8]: nelle persone ipermnesiche sono presenti degli specifici circuiti che connettono maggiormente, sia a livello funzionale che strutturale, le aree cerebrali coinvolte nei processi di consolidamento dei ricordi, come l’ippocampo e il lobo frontale. La prima di queste, denominata così per la forma a cavalluccio marino, può essere considerata la sede fisica dei ricordi autobiografici, mentre la seconda area svolge un ruolo fondamentale per la transizione dei ricordi dalla memoria a breve termine alla memoria a lungo termine.

Molti aspetti della memoria devono essere ancora approfonditi, mentre di altri ne siamo ancora all’oscuro, soprattutto per quanto riguarda la codifica dei ricordi. I file all’interno del nostro computer sono codificati tramite codici binari, mentre le nostre proteine sono codificate da nucleotidi. Non è surreale pensare che vi possa essere un “codice” dei ricordi; d’altronde nella storia si sono spesso verificate scoperte che hanno permesso di aumentare la comprensione dei fenomeni.

Si pensi alle particelle subatomiche, i quark, la cui scoperta nel 1964 ha permesso di andare oltre alla classica struttura atomica, conducendo la fisica a nuovi modelli, oppure alla proposta del 1953 del primo modello della struttura del DNA che ha condotto verso nuovi scenari di terapia genica. Forse un giorno saremo addirittura in grado di manipolare biologicamente i ricordi.

Di Francesco Mainiero

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