Autostop per le stelle

Comprendere l’Universo per comprendere noi stessi.

Mensa Italia
6 min readApr 27, 2020

Quante teorie si potrebbero corroborare se solo avessimo la possibilità di osservare da vicino ciò che ci circonda nello spazio?

Le missioni spaziali, però, rappresentano una sfida: fin dove possiamo spingerci? Fino a che punto possiamo controllare e comprendere l’infinito attorno a noi?

Purtroppo, rispondere a queste domande non è semplice e trasformare le parole in azioni lo è ancor meno. Numerosi sono gli ostacoli, ma la capacità di adattarsi e cercare di risolvere ogni situazione è da sempre insita negli esseri umani ed è la nostra migliore qualità.

Parlando di esplorazione spaziale, un esempio della nostra abilità di sfruttare a nostro favore l’ambiente che ci circonda è la fionda gravitazionale: uno “strumento” semplice ed elegante, ma allo stesso tempo estremamente potente.

Per lanciare un razzo bisogna tenere conto di vari fattori: la massa della struttura, la sua forma, il carico e, nel caso si volessero trasportare esseri umani, provviste e strumenti necessari per soddisfare i loro bisogni primari, e molto molto altro, ma uno dei problemi più determinanti per la riuscita di una missione spaziale è sicuramente la questione carburante, che è fondamentale per il tempo di combustione, soprattutto nello spazio, dove i motori per le manovre orbitali hanno poca potenza e devono restare accesi per parecchio tempo, e anche per la potenza dei propulsori che richiedono quantità importanti di combustibile, il quale, a sua volta, avendo una massa, appesantirà ulteriormente la struttura, che richiederà ancora più potenza e quindi più combustibile.

Ne otteniamo così una sorta di circolo vizioso, la cui soluzione consiste nel calcolo di un rapporto ideale tra peso e potenza, che in ultimo comporta dei limiti per entrambi i fattori.

Nel corso degli anni gli studiosi hanno cercato di ovviare a questo problema sostituendo il combustibile solido con combustibile liquido o ibrido. Questa scelta risulta efficace perché essendo quest’ultimo leggero, è possibile aumentarne la quantità; inoltre, se vengono riscontrati problemi durante il lancio, la reazione può essere fermata, evitando così, a differenza che con un propellente solido, conseguenze catastrofiche.

Nonostante ciò, il tragitto percorribile è comunque limitato ed è qui che entra in gioco la fionda gravitazionale, anche chiamata gravity assist: un urto elastico senza contatto in grado di aggiungere o sottrarre momento orbitale e aumentare o diminuire l’energia di una sonda nella sua traiettoria. Si tratta di un fenomeno naturale che si verifica anche con comete e altri corpi che riscontrano cambiamenti di traiettoria nel momento in cui passano vicino a un pianeta o a un satellite.

In genere, la fionda gravitazionale viene usata per allontanare la sonda verso i confini del Sistema Solare, molto oltre il punto che potrebbe raggiungere unicamente usando la propria potenza.

Nell’istante in cui una sonda passa vicino a un satellite o a un pianeta con una certa velocità, subirà un’attrazione gravitazionale che la porterà a modificare la propria traiettoria, proseguendo sempre con la stessa velocità, ma con un angolo differente rispetto al Sole. È come se la sonda venisse catturata e rilanciata dal pianeta in una direzione diversa ma con la stessa velocità. Questa appena descritta è una situazione semplificata, in cui il corpo celeste in questione è immobile nello spazio. Tuttavia pianeti e satelliti non sono fermi nello spazio, di conseguenza la velocità della sonda e quella del corpo celeste di riferimento andranno a sommarsi in maniera vettoriale grazie al principio fisico di conservazione della quantità di moto.

Se prima del lancio i vari elementi vengono calcolati nel modo corretto, è possibile prevedere quando la sonda sarà in una data posizione e così ottenere una velocità risultante tale da poter raggiungere i confini del Sistema Solare.

Questa tecnica, usata fin dai primi anni ’70 e tuttora applicata, permette un enorme risparmio di combustibile.

Una delle missioni più importanti realizzate è sicuramente quella che ha visto la sonda Cassini-Huygens, lanciata nel 1997, eseguire diversi gravity assists prima attorno a Venere, alla Terra, a Giove e a Titano, per poi venire disintegrata dall’ingresso nell’atmosfera di Saturno, come programmato.

Nonostante il passare degli anni e l’allungamento del tempo richiesto per il completamento della missione che questa tecnica richiede, la fionda gravitazionale rimane la soluzione più conveniente per i viaggi nello spazio. Al giorno d’oggi non vengono considerate missioni di esplorazione dirette oltre l’orbita di Giove che non prevedano almeno un gravity assist attorno al pianeta.

Il 27 settembre 2007 venne lanciata dalla NASA la missione Dawn, che vide anche una collaborazione italiana non indifferente. Lo scopo era quello di studiare due corpi celesti distinti, uno appartenente al Sistema Solare interno roccioso, l’asteroide Vesta, l’altro appartenente al Sistema Solare esterno gassoso, il pianeta nano Cerere, in prossimità della fascia asteroidale. Lo scopo principale era quello di raccogliere informazioni sulle fasi iniziali del nostro Sistema Solare e studiare l’influenza dell’acqua sull’evoluzione dei pianeti. Ma per poter raggiungere il primo target, la sonda dovette eseguire un gravity assist attorno a Marte nel febbraio del 2009, per poi raggiungere Vesta nel 2011 e infine Cerere nel 2015. La missione si è conclusa solo 2 anni fa, nel 2018, quando l’alimentazione della sonda non è stata più sufficiente per continuare a raccogliere dati e inviarli alla base sulla Terra.

La NASA, con la missione Artemis si è posta l’obiettivo di far atterrare nel 2024 il prossimo uomo e la prima donna sulla Luna, per studiare ulteriormente il nostro satellite, ma soprattutto per prepararsi ulteriormente in vista di un ambizioso obiettivo finale: la colonizzazione di Marte.

Il primo lancio della missione è previsto per l’anno 2020 con Artemis I, che eseguirà una fionda gravitazionale per entrare nell’orbita lunare, seguita da un’altra per tornare sulla Terra. Sarà un volo di collaudo senza equipaggio che durerà 3 settimane, con l’obiettivo di dimostrare l’affidabilità del progetto e delle nuove tecnologie che verranno messe in campo.

Con Artemis II, prevista per il 2023, vedremo un equipaggio che sorvolerà la Luna per poi far ritorno sulla Terra, sempre tramite un gravity assist. Nel 2024 invece si prevede l’atterraggio di una navicella con equipaggio sul suolo lunare con Artemis III.

La colonizzazione del pianeta Marte sarà sicuramente una tappa fondamentale nella storia dell’uomo. Le ricerche delle stazioni spaziali, i film e i libri di fantascienza, hanno sempre puntato gli occhi verso una vita extraterrestre e il pianeta rosso è il più simile al nostro tra quelli che ci circondano, oltre a possedere risorse che, se sfruttate nel modo giusto, permetterebbero la costruzione di piccoli centri abitabili (certo, con le opportune precauzioni).

Nel 2017 la Planetary Science Division della NASA ha dimostrato che si può migliorare l’abitabilità del pianeta ponendo uno scudo termico tra il Sole e Marte; questo consentirebbe al pianeta di formare e mantenere una propria atmosfera.

Possibili insediamenti sulla Luna e su Marte permetterebbero di risolvere molti dei problemi che attualmente affliggono il nostro pianeta, come l’inquinamento, i cambiamenti climatici e il sovrappopolamento verso il quale ci stiamo dirigendo, tuttavia sbagliamo se pensiamo di essere a un passo da questo futuro che, pur essendo tangibile, non sarà facile da attuare e sarà pieno di sfide, ma che già da adesso si prospetta assolutamente affascinante.

Di Cristina Truant

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