404 — Humanity not found (racconto)

Errore irreversibile di sistema

Mensa Italia
4 min readNov 10, 2021

«Everything not saved will be lost.»

- Nintendo “Quit Screen” message

Era l’ultimo giorno dell’anno e nessuno aveva voglia di festeggiare. Il mondo si era assopito. La gente era cambiata.

I ragazzi, sugli autobus, non cedevano più il posto agli anziani o alle donne incinte, i vicini di casa non si lamentavano più dei rumori molesti bussando contro una parete, ma organizzavano spedizioni punitive contro gli involontari disturbatori, in aereo si guardava con sospetto chiunque avesse la barba lunga e la pelle olivastra e tutti quanti, vedendo qualcuno cadere per strada, si limitavano a scavalcarlo a pié pari.

I genitori diffidavano degli insegnanti dei loro figli, i bambini dei loro genitori, i genitori e i figli, assieme, dei preti, e i preti lanciavano anatemi contro tutti quelli che avevano idee diverse dalle loro. Se eri stato vittima di un sopruso, peggio per te, te ne saresti dovuto assumere tutte le colpe.

I giornali non raccontavano più la verità sui fatti, le televisioni propinavano realtà di plastica e qualcuno s’era inventato i lavori dell’opinionista e dell’influencer; non era chiaro per quale motivo il miglior modo per pubblicizzare un frigorifero fosse riprendere una modella nuda, eppure ci si era posti il problema di eliminare la pornografia dagli schermi, limitando la questione alle fasce notturne.

Impossibile dire se fosse stata proprio questa la causa scatenante, ma, alle tre del mattino dell’ultimo giorno dell’anno, l’inquilino del quinto piano decise di dare l’estremo commiato al mondo ficcandosi una pallottola in fronte.

Si trattò di un unico colpo sordo che non fu percepito da nessuno, se non dall’anziana signora dell’appartamento accanto che, colta di sorpresa, si svegliò di soprassalto e iniziò ad agitarsi, ipotizzando gli scenari più apocalittici, fin quando non sentì un fastidioso formicolio al braccio sinistro che le impedì di ipotizzare ulteriormente. Ebbe soltanto il tempo di schiacciare il tasto d’emergenza del telesalvalavita Beghelli che portava al collo prima di stramazzare al suolo, fulminata da un infarto.

I parenti più stretti, dopo aver ricevuto telefonicamente la richiesta d’aiuto, si affrettarono a raggiungerla a casa e, dopo averla trovata esanime accanto al letto, diedero inizio a una violenta colluttazione per come sarebbe stato opportuno dividere l’eredità che la donna avrebbe lasciato; le bizzarre espressioni di lutto raggiunsero un volume talmente elevato da indurre uno dei condomini ad affacciarsi dalla porta del suo appartamento e a urlare a pieni polmoni: “DANNATI BASTARDI, C’È GENTE CHE VUOLE DORMIRE QUI!”. L’urlo echeggiò lungo la tromba delle scale, raggiungendo ogni interno dell’edificio. Pian piano tutti quanti fecero capolino sui rispettivi pianerottoli per rendersi conto di cosa stesse accadendo.

Lo spacciatore del quarto piano sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando notò tutto quel fermento e pensò di essere finito nel bel mezzo di un’imboscata della squadra narcotici. Nella speranza di evitare l’arresto e di eliminare ogni traccia, si affrettò a versare dell’alcol e a lanciare un fiammifero sulla droga che stava tagliando in salotto, poi si diede alla fuga attraverso una finestra che dava sul retro del palazzo, aggrappandosi a una fune improvvisata fatta con delle lenzuola annodate.

Il fuoco prese a divorare l’appartamento e, ben presto, le fiamme raggiunsero anche quelli adiacenti. L’odore acre e la densa nuvola nera che l’incendio aveva sprigionato furono il campanello d’allarme definitivo che convinse gli inquilini a evacuare l’edificio.

Un barbone ubriaco, ai bordi della strada, urlò: “ELVIS HAS LEFT THE BUILDING!” e iniziò a canticchiare: “Your kisses lift me higher / Like the sweet song of a choir / You light my morning sky / With burning love”.

Qualcuno doveva aver chiamato i pompieri, visto che, in lontananza, da qualche minuto, echeggiava il flebile suono della loro sirena. Se la presero comoda, arrivarono dopo circa mezz’ora, quando ormai era rimasto ben poco da salvare; nonostante ciò, un esiguo manipolo di uomini in divisa srotolò gli idranti dell’autocisterna e li puntò verso le fiamme, liberando getti d’acqua ad altissima pressione contro alcune delle finestre dell’edificio.

Il palazzo, vecchio e decrepito, non resse allo sbalzo di pressione e di temperatura e, così, le pareti portanti iniziarono ad accartocciarsi su loro stesse. Ci mancò veramente poco che, nel crollo, non venisse coinvolto anche il palazzo vicino.

Attorno ai resti fumanti, nessuno si scompose. Nessuno si curò di eventuali superstiti rimasti intrappolati sotto le macerie, nessuno volle indagare su quali fossero state le cause dell’incendio: era stato solo un avvenimento come tanti, accaduto in un giorno come tanti.

Qualcuno chiamò un taxi e chiese di essere accompagnato all’albergo più vicino per trascorrere in pace il resto della nottata.

Era l’ultimo giorno dell’anno e nessuno aveva voglia di festeggiare.

Il mondo continuava ad essere assopito.

La gente, stavolta, non era cambiata neanche un po’.

Di Gaspare Bitetto

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